Spesso, nelle discussioni del dopo teatro, riemerge l’annosa querelle su come riproporre i classici.

Gli archetipi della tragedia greca si impongono con tale autorevolezza su qualsiasi trasposizione temporale che omai, di fronte a una edizione di Sofocle in coturni e chitone, la prima reazione è di diffidenza (cui segue spesso la noia). Anche Shakespeare, dicono, sopravvive a qualsiasi intervento: abbiamo visto Romeo e Giulietta in jeans e Riccardo III in divisa nazista; il S ogno di una notte di mezza estate si lascia saccheggiare dal teatro della scuola senza visibile sofferenza, e spesso addirittura con risultati piacevoli. Probabilmente, una messa in scena davvero filologica, che riproducesse quelle del Globe Theatre (ammesso che sia realizzabile), susciterebbe stupore e sconcerto.

Qualche difficoltà sorge invece col teatro borghese, a cavallo dei due secoli. Forse perché conserviamo memoria, nelle foto dei nonni, nei racconti tramandati in famiglia, di un mondo che, in qualche modo, ci appartiene ancora, il vederlo stravolto ci disturba o spiazza. Malgrado ciò, i registi amano affrontare anche queste sfide.

E Goldoni? Sembrerebbe difficile dissociare dalle immagini tramandate dai dipinti di Longhi, di Hogarth, quel suo linguaggio che, pur materiato di riverenze e spagnolismi, già sembra prendersene gioco, e rifargli il verso.

La spiritosa, ipercinetica edizione de Il ventaglio , diretta da Alberto Oliva, vista a Bovisio Masciago, dimostra che ciò è possibile.

Oliva lavora con un gruppo di giovani che, pur con curricoli diversi per formazione ed esperienze artistiche, sono accomunati da passione ed entusiasmo, e riesce farne una squadra affiatata, convogliando i loro talenti e la loro energia in un ambizioso progetto di regia.

La prima parte dell’allestimento sembra guardare a Feydeau: con giochi di porte che si aprono e si chiudono; con strizzate d’occhio a un erotismo che, pur con discrezione, più spesso dietro le quinte, esplicita ciò che in Goldoni rimane sotterraneo. Ma, già in alcuni tratti, si affacciano colori di altro segno, quasi espressionistico: la maschera truce di Timoteo, lo speziale gobbo; una finestra che sfida le regole della statica e della prospettiva, che sembra mutuata dal film Il gabinetto del dottor Caligari.

Nella seconda parte, introdotta da una sorta di turbine ventoso che coinvolge attori, oggetti ed arredi di scena, l’atmosfera si incupisce e, malgrado lo sciogliersi degli equivoci e il ricomporsi delle coppie, nel finale la vicenda si attorciglia in truculenze elisabettiane: una pesante ombra di incesto fra i due fratelli, Giannina e Moracchio; il doppio suicidio dei due pretendenti sconfitti.

Se questi ultimi interventi drammaturgici rivelano una lettura molto personale, e forse opinabile, del testo goldoniano, peraltro argomentata dalla note di regia, si apprezzano senza riserve altri elementi: il ritmo e l’energia vitale della giovane compagine; i costumi, che creano un intrigante cortocircuito fra il ’700 e l’oggi; l’inserimento, grazie alla versatilità degli attori, di siparietti cantati, tratti dai libretti goldoniani; una colonna sonora che ora commenta, ora anticipa gli eventi, con una logica quasi cinematografica. E il risultato è godibile.

Generalmente efficaci gli attori, ancorché spesso non in parte sul piano anagrafico, nella creazione e nella caratterizzazione dei molti personaggi, anche minori. Si apprezza il tetro speziale Timoteo di Alessandro Lussiana; l’erotica, ambigua merciaia Susanna di Ivana Cravero; l’accattivante, selvatica irruenza di Désirée Giorgetti (Giannina), la sorniona cialtroneria di Mino Manni (il conte di Rocca Marina). Da citare, infine, la spiritosa serie di controscene col bistrattato cane di pezza di Evaristo (felicemente delineato da Angelo Tronca), incolpevole, reiterato bersaglio dei suoi scoppi d’ira, ogni volta raccolto, medicato e bendato dal bieco ma solerte Timoteo.

Lo spettacolo è andato in scena
Teatro alla Campanella

Piazza Anselmo IV, Bovisio Masciago (Mi)

Il ventaglio
di Carlo Goldoni
regia di Alberto Oliva
assistente alla regia Alessandro Lussiana
con Mino Manni, Raffaele Berardi, Ivana Cravero, Desirée Giogetti, Alessandro Lussiana, Federico Manfredi, Barbara Mazzi, Francesco Meola, Davide Palla, Valeria Perdonò, Michele Schiano di Cola e Angelo Tronca
musiche originali Bruno Coli
scene e costumi Francesca Pedrotti
assistente costumi Erin Sisti
realizzazione scene Alex Zanfrini, Bettina Colombo
luci Bruno Nepote
responsabile tecnico Bruno Gentile
Produzione Il Contato/Teatro Giacosa Ivrea in coproduzione con Fondazione Teatro Piemonte Europa