Synecdoche, Budapest

Esiste un teatro in cui il tempo scorre leggero, impercettibile, e un teatro in cui la durata dello spettacolo si aggiunge al mobilio di scena, si fa palpabile. In questo secondo teatro, il pubblico riscopre la propria presenza in sala e si rende partecipe di una rappresentazione che va oltre il mero intrattenimento nel tentativo, come vuole il Proton Theatre, di fare una Imitation of Life.

Nel paese della retorica populista, del conservatorismo sociale e nazionale e della mirata opposizione all’immigrazione del Primo ministro Viktor Orbán, essere rom non è cosa facile. La minoranza zingara dell’Ungheria, da secoli sedentarizzata e “integrata”, ha infatti dovuto (e deve tuttora) lottare per ottenere quei diritti umani di base contro i quali il governo a guida Fidesz – Unione Civica Ungherese sembra accanirsi sempre di più negli ultimi anni, in cerca forse di un nuovo nemico interno da strumentalizzare per polarizzare ulteriormente la popolazione e rafforzare l’autoritarismo al potere. Da ottimo specchio della realtà quale è, il Proton Theatre di Kornél Mundruczó (classe 1975) si concentra proprio sul razzismo sistemico magiaro, denunciandone le ripercussioni sulla vita dei singoli cittadini, rom o meno che siano, tramite l’esaltante messa in scena di Imitation of Life, spettacolo prodotto nel 2017 e approdato a Torino per la 26° edizione del Festival delle Colline Torinesi.

Nel suo atto di accusa «contro una società contemporanea votata alla discriminazione, in cui l’ingiustizia è la legge non scritta vigente», il regista teatrale, cinematografico e lirico Mundruczó – affiancato da Kata Wéber, sceneggiatrice, drammaturga e dal drammaturgo Soma Boronkay – porta sul palcoscenico l’immagine ingigantita di un’anziana signora rom cui lo Stato, tramite una ditta di liquidatori ed espropriatori, vuole sottrarre l’alloggio pubblico in vista delle Olimpiadi del 2024 di Budapest (dalle quali l’Ungheria si ritirerà poi nel 2017). Dopo un lungo e futile tentativo da parte dell’ufficiale giudiziario dietro la telecamera di identificare la vecchia e combattiva Lőrinc Ruszó per poter eseguire lo sfratto, il grande schermo del Teatro Astra si solleva, rivelando una casa vissuta con miseria e insalubrità che si affaccia voyeuristicamente sull’agiata platea torinese.

Attingendo a piene mani dai plurimi codici espressivi di cui è fautore e padrone, il regista ungherese imbastisce una pièce teatrale al limite dell’iperrealismo scenografico tipico del cinema contemporaneo, imbevuta di estetiche operettistiche e infiocchettata dall’uso interessante (seppur a tratti fin troppo ostentato, a meno che non sia inteso con autoironia) delle tecnologie. Non tutto, però, viene delegato all’efficace scenografia e all’allenato occhio filmico di Mundruczó. «Esiste un ordine di importanza», dice la “romofoba” guardia medica che manderà un’ambulanza alla casa dell’anziana Ruszó solo su minaccia di denuncia e dopo 76 minuti. «Meglio una malattia della pelle che zingaro», dichiara il figlio della protagonista, István/Szilveszter Ruszó, prima di scappare di casa e rinnegare le proprie origini, nel disperato tentativo di essere accettato da una società affetta dal virus del razzismo, imitandone per forza di cose i disequilibri di potere (la pièce si ispira all’aggressione di un ragazzo rom da parte di un uomo armato di katana nel 2015, alla quale seguì una manifestazione spontanea contro la xenofobia che dovette poi fermarsi quando, pochi giorni dopo, l’aggressore si consegnò alle forze dell’ordine, rivelando a sua volta le proprie origini rom).

Partendo dai meccanismi predatori e gentrificanti della macchina olimpionica, dunque, Imitation of Life si districa tra la retorica antiziganista dell’Ungheria moderna e la segregazione sociale e spaziale a cui i rom sono costretti, nel paese come all’estero, restituendo un realismo burocratico kafkiano che schiaccia e appiattisce qualsiasi istanza di umanità, nonostante lo zoom dell’artificio tenti a tutti i costi di mettere a fuoco la coscienza, inchiodandola nel presente. E a proposito di tempo e percezione del tempo, nella regia di Mundruczó, al realismo spaziale fa da contraltare quello temporale. Il tempo e lo spazio, paradossalmente, perdono di significato, si “smercificano”, come già fatto notare da Laura Corradi nel suo saggio Il femminismo delle zingare: intersezionalità, alleanze, attivismo di genere e queer (ed. Mimesis), andando a dilatarsi e a prendere il passo della vita vera, con tutti i suoi momenti “morti”, seppur tremendamente vivi. Non c’è fretta nelle parole dell’anziana rom, non c’è plus valore capitalistico dietro il suo passare delle ore, ma soltanto pura esistenza, lento bruciare di candela, così come è lenta la chiamata di soccorso dell’esattore, lenta la morte al suo arrivo e lento il suono di una vita in frantumi.

Sì, perché l’imitazione denunciata nel titolo si palesa proprio quando il cubo al cui interno è meticolosamente riprodotto l’abitare incerto di questa minoranza comincia a ruotare su sé stesso, portandosi dietro tutti i rumorosi frammenti di quotidianità che strabordano dalla scena, andando a urtare il quieto vivere spettatoriale di chi siede in prima fila, fin troppo vicino a tutte queste sporche macerie umane. In Imitation of Life, siamo costretti infatti a osservare la fine di un’esistenza (e il proseguire di altre, ignare del passato), ma la finzione sottesa dal titolo non si riferisce a tali livelli di distruzione, reali tanto in Ungheria quanto nel Belpaese, bensì all’inesistenza di un pubblico che assista con interesse e preoccupazione alla disfatta delle relazioni umane in un mondo dove razzismo e capitalismo la fanno da padrone. Un mondo in cui, solitamente, alla sofferenza altrui, si risponde con l’indifferenza.

Lo spettacolo è andato in scena all’interno del Festival delle Colline Torinesi 26
Teatro Astra
via Rosolino Pilo 6 – Torino
giovedì 21 e venerdì 22 ottobre 2021
ore 21:00

il Festival delle Colline Torinesi 26 presenta
Imitation of Life
del Proton Theatre

con Lili Monori, Roland Rába, Annamária Láng, Zsombor Jéger e Dáriusz Kozma
scena Márton Ágh
costumi Márton Ágh, Melinda Domán
luci András Éltető
scritto da Kata Wéber
drammaturgia Soma Boronkay
musiche Asher Goldschmidt
assistente alla regia Blanka Rákos
regia Kornél Mundruczó
produzione Dóra Büki
direttore di produzione Luca Kövécs
assistente di produzione Ágota Kiss
direttore tecnico András Éltető
tecnico luci Zoltán Rigó
tecnico audio János Rembeczki
assistente di scena Jachya Freeth
assistente ai costumi Gergely Nagy
assistenti di palco Tamás Zsigri, Tamás Hódosy

coproduzione Wiener Festwochen, Vienna, Austria; Theater Oberhausen, Germania; La Rose des Vents, Lille, Francia; Maillon, Théâtre de Strasbourg / Scène européenne, Francia; Trafó House of Contemporary Arts, Budapest, Ungheria; HAU Hebbel am Ufer, Berlin, Germania; HELLERAU – European Center for the Arts, Dresden, Germania; Wiesbaden Biennale, Germania

con il sostegno di KUBIK Coworking, Kryolan City, Open Casting, PP Business Centre – Budapest, VisionTeam