La verità tra civiltà e giungla

Dopo tre anni di tournée, Improvvisamente l’estate scorsa torna all’Elfo Puccini, dove debuttò nel 2011 con la regia di Elio De Capitani, che già nel ’93 si era misurato con Tennessee Williams, mettendo in scena Un tram chiamato desiderio.

Sipario. Siamo nel giardino di una casa coloniale. Sulla destra scorgiamo la scalinata e un’imponente colonna di marmo, mentre tutto intorno piovono le braccia di alberi secolari dal turgido sapore subtropicale – una giungla che dal lato sinistro del palco apre le fauci sulla civiltà di tavolini da giardino ed eleganti abiti bianchi (quasi a ricordare due emisferi di un cervello). In mezzo il suo “nucleo” rettiliano, il totem-teca contenente una pianta carnivora, ingabbiata ma non addomesticata, pronta a ricordarci la crudeltà della natura.
La scena racchiude già la storia che verrà raccontata.
Sebastian, il grande assente, è morto «improvvisamente l’estate scorsa» lasciando un carosello di dubbi, paure, non detti e verità sfilacciate muoversi intorno a lui. Due i personaggi principali, poli del conflitto e facce della stessa medaglia: la signora Venable, sua madre, ancora stretta in lacci edipici al figlio defunto, sua osannatrice e pronta a tutto pur di nascondere agli altri – e ancor più a se stessa – le reali circostanze di questa morte improvvisa; dall’altro lato, Catherine, l’antagonista, il pericolo. Lei sa.

È la cugina di Sebastian e durante quel viaggio, durante quel giorno, lei era lì, con lui. I ricordi però sono confusi e il trauma l’ha resa apparentemente folle. La signora Venable ha chiamato un neurologo, il Dr. Cukrowicz, offrendo un cospicuo finanziamento per il suo ospedale: quello che in cambio vuole da lui, è che lobotomizzi la nipote così, se anche dovesse dire la verità, «nessuno le potrà credere». Ma il dottore vuol vederci chiaro; è l’agente esterno, portatore – non solo simbolico – di un siero di verità, che riesce a creare un contatto con la giovane e a sbloccarne la memoria. Verrà fuori così il racconto di un Sebastian dal corpo nudo lacerato da un’orda di ragazzini famelici, cui aveva forse chiesto favori sessuali.
Ecco che è la voce della pazzia, questa giovane Cathrine insostenibilmente diretta e sincera – l’emisfero destro – ad essere foriera di verità e urlarla riderla ballarla. E lo fa sola, perché la follia non può che essere segregata, isolata.
Dall’altra parte, la società rappresentata dalla signora Venable, ma anche dalla madre e dal fratello di Catherine: ognuno egoisticamente interessato per motivi venali o personali a nascondere realtà scabrose. Ecco l’emisfero sinistro.
In mezzo, la pianta carnivora che rimanda ai famelici ragazzini che hanno ucciso Sebastian, ma anche all’immagine culmine del testo: il ricordo di un viaggio alle Galapagos, la meraviglia di madre e figlio davanti a questo spettacolo di mondo ancestrale e poi la visione di uno stormo di uccelli che dilaniano selvaggiamente inermi tartarughe marine. La signora Venable, che non vuole guardare, grida che «No, no, questa non è la vita». Ma Sebastian non le permette di chiudere gli occhi: questa è la natura, non solo animale. Anche umana. Nostra. Di tutti. È quella pianta carnivora, è il nostro cervello rettiliano – i nostri istinti, la nostra fame, anche sessuale, la sua omosessualità – e va presa in mano, tutta, non la si può velare, né abbassare lo sguardo. Testo e scenografia si giustificano e completano a vicenda, sprigionando l’attacco alla società perbenista e conservatrice perpetrato da Williams.
Non è altrettanto intenso il lavoro degli attori. Fatta eccezione per Elena Russo Arman, che da sola anima il palco e da vita al personaggio di Catherine, gli altri ruoli restano fastidiosamente generici, in particolare quello del dottore – cui Cristian Giammarini non conferisce alcuno spessore, alcun disequilibrio o ambiguità – e della signora Venable, interpretata da una Cristina Crippa declamatoria e senza fascino. Il risultato – scontato – è che da subito abbandoniamo la madre di Sebastian e scartiamo il suo punto di vista senza credibilità, affidandoci a Catherine prima ancora che entri in scena: e questo priva completamente il conflitto di intensità, movimento e contraddizione.
Generici anche i suoni, grida primordiali provenienti dal cuore di questa giungla da giardino, ripetuti troppo spesso per riuscire a mantenere alta l’inquietudine. Anche le luci, che con gelatine colorate mutano l’atmosfera, non riescono ad assumere un carattere specifico.
Tutto ciò rende l’insieme della messa in scena poco coinvolgente ed è forse soltanto l’intensità di Elena Russo Arman a suscitare tanti applausi sul finale.

Lo spettacolo è andato in scena
Teatro Elfo Puccini

Corso Buenos Aires 33, 20124 Milano
dal 20 gennaio al 1 febbraio, dal martedì al sabato h. 20.30, domenica h. 16.30

Teatro dell’Elfo presenta
Improvvisamente l’estate scorsa
di Tennessee Williams
regia Elio De Capitani
con Cristina Crippa, Elena Russo Arman, Cristian Giammarini, Corinna Agustoni, Enzo Curcurù, Sara Borsarelli
costumi Ferdinando Bruni
scene Carlo Sala
luci Nando Frigerio
suono Giuseppe Marzoli