In casa con Anne Sexton è il secondo studio della trilogia sull’acclamata poetessa degli anni ’70, qui presentato all’interno del Danae Festival e che potremo ammirare nella completezza dei tre atti dal 5 al 10 marzo al Teatro i.

Cinquanta minuti di spettacolo giocati in geometrie lineari ed essenziali. Pochi gli elementi scenici in un campo lungo, quale lo spazio del Lachesilab consente di ricavare, scandendo due distinti piani ideali e di significato. Al suo interno troviamo due sedie posizionate ai due angoli opposti e a ridosso della platea, forse a significare lo spazio del disvelamento. Sopra di esse due microfoni, inizialmente quasi invisibili, giacché la luce rischiara il tavolo con le due sedie a lato a fondo campo.Una scelta scenica tesa a (meta)significare, probabilmente, lo spazio drammaturgico in un senso più proprio.

È’in questo scenario che si collocano le due figure, lei – Milena Costanzo, vestita con un abito di raso verde, che sembra preludere a una grande soirée – e lui – Gianluca De Col, in un sobrio ed un po’ contrastante completo da uomo. La figura femminile con poche “pennellate” ci traccia una biografia essenziale di Anne Sexton come «un enigma in forma di donna». Poi le parole sembrano ingarbugliarsi, l’attrice sorride, fa un passo indietro, si siede al tavolo.

Da questo istante inizia la pièce. Tuttavia, la suggestione era già tutta condensata in quel momento precedente, in quel quasi didascalico enunciato, che innesca una petizione di principio, ovvero che si parlerà della Sexton. Sembra inevitabile leggere, nello scontato ménage à deux, la riproposizione della vita della poetessa entro le mura domestiche, i pranzi silenziosi consumati insieme davanti alla tv, il rilassarsi di lui che cambia canale appena lei esce dalla stanza, le usuali rivendicazioni fra coniugi: «E’ finito il caffé… E’ finita la cartigenica… E’ finita la tenerezza…». Ma presto, qualcosa stona, affiorando dalle ‘confessioni’ a cuor di pubblico, infarcite di nomi e riferimenti troppo italiani e contemporanei per appartenere alla biografia della Premio Pulitzer per la poesia del 1967. Ed emerge già dallo scoppio d’ira di lui: l’occasione, banale, come spesso lo sono quelle che innescano le più furibonde liti fra coniugi, è la mancanza del caffé, interpretata come premeditata cattiveria. Una dinamica rapidamente voltasi in un pacato: «Vuoi che ti prepari un caffé?», sussurrato a fil di voce da lei, e a cui segue un di lui ancor più bonario acconsentire, come se niente fosse stato.

Diventa sempre più netta l’effettiva scollatura rispetto ad un eventuale intento meramente narrativo, come il lieve cantilenare della parlata veneta del De Col o i furtivi riportati biografici degli attori ci avevano già iniziato a suggerire. A un certo punto, il gioco va svelandosi, come nella scena del mandare a memoria la parte di lui che, in abiti da camera, legge un copione e compie un riscaldamento fisico forse propedeutico alla performance (come se non fosse ancora iniziata). Un momento di palese metateatralità, interrotto dal vestirsi e dall’indossarei panni e la consistenza del personaggio in un meccanismo di vita/non-vita, che restituisce i disagi della poetessa menetre trascolorano in quelli degli attori e, per quel potente transfert che è il teatro, anche dei singoli spettatori, probabilmente.

Dunque una drammaturgia sofisticata e strutturata in un gioco di sviamenti e sovrapposizioni, a cui fa da contraltare una regia asciutta ed essenziale, giocata in pochi, ma precisi elementi e movimenti scenici che mai dimentica quel pretesto – Anne Sexton -, che a più riprese tornerà a far capolino sotto forma di versi recitati con voce roca e in lingua originale. O anche con lo sfilarsi le scarpe, la preghiera-bestemmia inaspettatamente messa in bocca a lui, mentre sbuccia una mela. O – ancora – in quell’invettiva contro il perbenismo borghese, efficacemente iconizzata dalla leziosa torta di compleanno rosa confetto.

Qui cala il sipario nel suggestivo spegnersi dell’occhio di bue, per lasciarci l’immagine di quel che vorremmo che la vita fosse, e che – forse – non è.

Lo spettacolo è andato in scena all’interno di Danae Festival (parte 2)
Lachesilab

via Porpora 43/47, Milano

Progetto Anne Sexton: Cleaning the house
In casa di Anne Sexton
di Milena Costanzo
coproduzione di Olinda, Fattore K, Teatro C/R, Danae Festival/Progetto Ares
adattamento e testi Milena Costanzo e Gianluca De Col
con Milena Costanzo e Gianluca De Col
assistenti Alessandra Ventrella, Riccardo Calabrò e Vola Marietti