Se l’ambizione supera l’intenzione

All’interno dello Short Theatre Festival, Roberto Castello presenta – in prima nazionale – In girum imus nocte (et consumimur igni), la danza sul disagio dell’uomo contemporaneo.

Lo svuotamento dai canoni estetici tradizionali è una operazione ricorrente nell’arte postmoderna, in particolare nella danza. A caratterizzarla sono alcuni tópoi ai quali, diversamente declinati e sperimentati nelle più svariate forme, è possibile ricondurre l’utilizzo di un linguaggio gestuale completamente slegato dalla pura funzione estetica. Un linguaggio innovativo attraverso il quale a prendere corpo era il dominio di una fisicità che, pur liberando la tecnica esecutiva dal vincolo dalle linee classiche, non perdeva nulla in termini di rigore e qualità formale.

Affidata come un mantra al primato della performance e distante dall’immediatezza delle convenzioni comunicative, la danza contemporanea è riuscita a costruire i presupposti di una rinnovata classicità. Un trionfo che se, da un lato si accosta alla tradizione ancora assolutamente imperante senza mortificarla, dall’altro è corroborato dalla presenza nel mondo accademico di propri docenti tra cui, per esempio, Roberto Castello che insegna coreografia digitale nel tempio delle Belle Arti di Brera.

Isadora Duncan e Merce Cunningham, Pina Bausch, Wayne McGregory e Carolyn Carlson (con cui Castello ha lavorato) sono solo alcuni tra gli artefici di questo processo che, in stretta tangenza con le (a quel tempo) più recenti ricerche filosofiche, intuì nell’esperienza estetica il realizzarsi di un vero e proprio incontro ermeneutico: partecipare, non più assistere, a un evento artistico significa sentirsi interrogati nella propria intimità, ponendo, in tal modo, gli astanti in una sorta di liberazione dai tratti a dir poco rivoluzionari perché (s)coinvolgente e quasi mai catartica.

Oggi, la ricerca in questo ambito ha perso il furore dadaista dei primordi per assumere i tratti di una vera e propria epistemologia dell’arte posta in alternativa al culto di quei rassicuranti Ideali con la maiuscola che hanno trovato la morte nel corso del Novecento.

Finalizzato alla creazione di un diffuso senso di costrizione e disagio, costruito attraverso la ricerca di una soggettività pura come epifenomeno di una alienazione che, omologando le individualità, finisce per isolarle nella massa, proprio nella pars destruens di questa operazione si colloca l’ultimo lavoro di Roberto Castello.

Danzatori vestiti di nero agiscono con fare tra il sincopato e l’ossessivo all’interno di uno spazio caratterizzato dall’alternanza visiva e verbale di luce/ombre, mentre un videoproiettore disegna – sull’intero palco – micro ambienti ecologici dai perimetri variabili.

La struttura disciplinante ed eteronoma delle relazioni sociali, l’alienazione che ne deriva, lo scontro e lo sballo come unica modalità di ritrovo trovano espressione in interpreti di altissimo livello per concentrazione e performance fisica.

Guidato da un incedere ritmico morboso e «martellante» nella cadenza tra «light» e «dark» e da relazioni che assumono, senza soluzione di continuità, sfumature drammatiche o ridicole, ma sempre e comunque laceranti, l’impianto scenico reitera per oltre un’ora «micronarrazioni di questo peripatetico spettacolo notturno a cavallo tra cinema, danza e teatro».

Se il risultato è una coreografia monolitica e concettuale nel sussumere movimenti, luci, musica e proiezioni, la drammaturgia e la poetica di In girum imus nocte et consumimur igni perplimono sorprendentemente per assenza di profondità e una durata ingiustificata nella sua inconsistenza.

Accanto a una tematica di fondo ormai abusata, soprattutto perché non sostenuta dall’adeguata originalità mimica, stupiscono l’offerta di chiarezza didascalica del finale (in particolare nella rappresentazione della violenza e dello sballo) e l’adagiarsi su una scolastica struttura circolare, fattori che concorrono al ritorno a un immaginario comunicativo dalle cui ceneri, per scelta strutturale, Castello aveva pure preso le mosse.

Scelte che incrinano il dichiarato tentativo di andare «oltre la sua possibile interpretazione di metafora del vivere come infinito consumarsi nei desideri, per diventare un’esperienza catartica della sua, anche comica, grottesca fatica»; e che, a partire dallo stucchevole titolo (un famoso palindromo latino), portano la performance ad assestarsi piuttosto sul piano ben meno audace del prodotto ben confezionato ed eseguito.

Un prodotto certamente riuscito che, probabilmente, gli specialisti potranno ammirare come esempio, ma che, nella sua impalpabile restituzione emotiva e fragilità ideologica, risulta assolutamente deludente.

Lo spettacolo è andato in scena all’interno di Short Theatre Festival
La Pelanda | TEATRO 2

domenica 6 settembre, ore 20.00

Prima assoluta
In girum imus nocte (et consumimur igni)
(Andiamo in giro la notte e siamo consumati dal fuoco)
di Roberto Castello
interpreti Elisa Capecchi, Mariano Nieddu, Giselda Ranieri, Ilenia Romano, Irene Russolillo
luci, musica, costumi di Roberto Castello
costumi realizzati da Sartoria Fiorentina
produzione ALDES
con il sostegno di MIBACT – Direzione Generale Spettacolo dal vivo, REGIONE TOSCANA – Sistema Regionale dello Spettacolo