Venerdì 6 ottobre

Ad Arezzo continua il viaggio: nell’itinerario della terza giornata si passa dalla pedagogia teatrale di Fabrizio Cassanelli al queer di Nina’s Drag Queens e Queen Lear, con sosta per la prova d’attore di Aleksandros Memetaj in Albania Casa Mia.

Cosa vuol dire incontrarsi a teatro? Incontrare la differenza, la nostra stessa differenza, quella che ci abita, per viverla senza timore, così come quella degli altri, declinata in forme che oggi spesso spaventano – che sia la diversità di genere, dello straniero, o del decadimento fisico della vecchiaia.
Nel pomeriggio appuntamento con Fabrizio Cassanelli e il workshop con studenti e insegnanti, formatori, educatori, sul tema del teatro in educazione, riferimento all’ultima fatica editoriale di Cassanelli. Qual è il teatro che educa – e quale, al contrario, quello che non lo fa?
Il teatro che educa sarebbe, prima di tutto, quello che attua uno spostamento rispetto a ciò che siamo normalmente, un teatro che invita a uscire dai propri confini, a viverne serenamente la mobilità o a renderli mobili.
Fra le questioni emerse, molto interessante quella dell’importanza del vincolo di fiducia che dovrebbe sussistere fra operatori e istituzioni scolastiche, in un rapporto fondato sullo scambio di conoscenze e in cui sia salvaguardato il rispetto dei relativi ambiti di formazione e competenza.
A seguire, al Teatro Pietro Aretino, la replica pomeridiana di Albania Casa Mia, dopo la matinée riservata alle scuole. Con questo spettacolo torna a farsi sentire prepotente un connotato peculiare del Festival, cui abbiamo già accennato in precedenza: la presenza dirompente dei giovani.
Aleksandros Memetaj, protagonista e autore dello spettacolo di Argot produzioni, calca la scena con un’energia e una determinazione che fanno da esempio. Entrambe significative.
Incentrato e costruito sfruttando ed esaltando le doti e le indiscutibili capacità tecniche del suo autore, Albania Casa Mia presenta la storia della sua famiglia, raccontando prima della sua infanzia di bambino albanese in un paesino del Veneto, e poi quella di suo padre, quando nella costruzione narrativa la consapevolezza dell’adulto prende il posto dell’ingenuità dello sguardo (e delle risorse immaginative) del bambino.
Nel raccontare la vicenda, l’autore non fa sconti a nessuno e il pubblico prova anche una certa vergogna nell’assistere allo spettacolo a causa del comportamento che assumono alcuni personaggi (bravi cittadini italiani o rappresentanti delle forze dell’ordine).
Tuttavia, ciò che destabilizza ancora di più è la fierezza di Alex. Una fierezza inquietante, che smaschera certe sicurezze sulle quali poggia l’atteggiamento con cui ci approcciamo allo “straniero”. Di fronte all’attore, in piedi sulla scena, sentimenti di leggera inquietudine e disagio svelano quel fondo di condiscendenza che può venare le nostre intenzioni, anche quando si tratta della generosità nell’accogliere. In questo incontro con l’alterità, la consapevolezza e fierezza di Memetaj spaventano, e si rimane quasi soggiogati dalla forza del suo carattere. Non si può evitare di ripensare alla differenza che passa fra accoglienza condiscendente verso rispetto e pieno riconoscimento dell’altro.
Una chiacchierata veloce a fine spettacolo con i ragazzi della (ormai ex) II E e con Memetaj, e poi via verso Sansepolcro con il pullman dello spettatore; tutti in gita al Teatro alla Misericordia per assistere alla prova aperta di Queen Lear, rielaborazione in chiave contemporanea e in forma di opera musicale en travesti del Lear shakespeariano su drammaturgia di Claire Dowie.
Fra teatro di prosa, stand up comedy e opera lirica, le Nina’s Drag Queens hanno proposto al pubblico un primo momento di elaborazione del nuovo spettacolo. Proprio in quanto prova aperta, può forse essere utile annotarne i punti forti e i momenti deboli o meno efficaci.
Per prima cosa, non si può non parlare della fortissima presenza scenica di Lea (Lear), della potenza del suo volto, quasi scolpito: altero, leggermente sprezzante, che tratteggia così bene l’anziana “sovrana”.
Nella trasposizione in chiave contemporanea, Lea è padrona di un negozio di bambole, e la divisione del regno consiste piuttosto in una richiesta di dimostrazione d’affetto a cui segue la consegna di una busta. È facile riconoscersi nella situazione in cui si trova Cordelia, la situazione simboleggiata e richiamata da quella busta. Ecco che si risveglia quel senso di disorientamento e di tristezza quando, a un sincero e spontaneo moto di affetto, si associa una forma di ricompensa. Perché ci si vuol bene? Perché sì, rispondiamo insieme a Cordelia.
Se con i figli, quando sono piccoli, i genitori non sono in grado di concepire e donare amore incondizionato, pretendendo sempre qualcosa in cambio – che siano la sottomissione o l’adattamento; nel momento della vecchiaia, quando c’è bisogno di rassicurazione e sicurezza rispetto all’affetto e alle cure, eccoli concepire queste necessità come merce da comprare, garantire o ipotecare.
Meno efficace, al contrario, la trovata della seconda tornata al banchetto di proscenio, e in particolare il “collegamento” con casa Regan.
Non necessario e, anzi, deleterio il riferimento esplicito a pranzi di famiglia e simili, ovvero alle situazioni che tutti condividiamo: ognuno ha già modo di ritrovarsi nella vicenda e nelle dinamiche raccontate, l’esplicitarlo sgonfia e affossa questo ritrovarsi (che poggia sul meccanismo magico e misterioso del racconto teatrale).
Giudizio sospeso per la scelta di trasformare la pazzia e la degenerazione di Lear in una forma di demenza senile o di Alzheimer in Lea. Per quanto dia una piega familiare e immediatamente molto dolorosa alla vicenda, la trasformazione in malattia fisica, toglie al comportamento dell’anziana regina gran parte della complessità e dello spessore shakespeariano: rende meno stratificata e tortuosa la crisi del senso di sicurezza del potere e la ricerca di una rassicurazione d’amore, che segnano la storia del declino del re.

Copyright Sara Armati

Gli eventi sono andati in scena nell’ambito del Festival dello Spettatore 2017
Arezzo, varie location

venerdì 6 ottobre, ore 10.00 e 18.30
Teatro Pietro Aretino
ARGOT PRODUZIONI presenta:
ALBANIA CASA MIA
di e con Aleksandros Memetaj
regia Giampiero Rappa
spettacolo per tutto il pubblico selezionato dagli studenti della I e II E del Liceo Teatrale “Vittoria Colonna” di Arezzo. Progetto #agitecontemporanee

ore 15.00
Libreria Feltrinelli
presentazione del progetto XFORMARSI
a cura di Fabrizio Cassanelli e Ivana Conte
TEATRO IN EDUCAZIONE
a cura di Fabrizio Cassanelli
workshop rivolto a insegnanti, operatori teatrali, educatori, a partire dall’ultimo libro pubblicato da ETS

ore 21.15
Teatro alla Misericordia
Sansepolcro
CLAIRE DOWIE (UK) + MICHELE PANELLA + NINA’S DRAG QUEENS presentano:
QUEEN LEAR
regia Francesco Micheli
drammaturgia Claire Dowie
con Gianluca Di Lauro, Ulisse Romanò, Alessio Calciolari, Lorenzo Piccolo e Sal Nicosia
musiche Enrico Melozzi
in collaborazione con Capotrave / Kilowatt