Short Theatre e la (vana?) ricerca del contemporaneo a La Pelanda di Roma.

La moltiplicazione delle prospettive significanti e delle modalità espressive nell’arte, operazione tipica della e nella contemporaneità, contiene almeno due possibili interpretazioni interne al fenomeno. Semplificando all’estremo, esse potrebbero riferire, la prima, prioritariamente al contenuto o, la seconda, alla forma.

Un esempio clamoroso di questa duplicità – e banalità – di approccio è andato in scena venerdì 7 settembre all’interno della tredicesima edizione di Short Theatre, uno dei pochi luoghi, con il RomaEuropa Festival, in cui la Capitale può finalmente respirare un’aria internazionale. Rispetto al parente nobile, ormai assorbito in un circuito di assoluto valore, ma poco propenso alla scommessa, la creatura diretta da Fabrizio Arcuri sembra averne raccolto, non senza una certa immaturità, il testimone: la contaminazione e lo sconfinamento tra generi e la brevità del format sono elementi cardinali attraverso i quali lo Short Theatre cerca il brivido dell’intreccio e della ricerca, ambisce a contrapporsi al tedio della scena nazionale e si apre alla diversità degli eventi, dalla riscoperta metamorfica della tradizione secondo il celebre verso di Ovidio («L’estro mi spinge a narrare di forme mutate in corpi nuovi», Le metamorfosi) fino all’eccesso rivoluzionario di una forma che deflagra e, in conseguenza di ciò, pensa di sconvolgere il proprio contenuto.

Dunque, la prospettiva del contenuto, della forzatura intellettuale e della ricerca compulsiva del concretismo drammaturgico (ricerca perpetuata attraverso una manipolazione del meccanismo teatrale finalizzata alla dissonanza tra il paesaggio di allestimento e i suoi stessi oggetti materiali e umani) costituisce un primo esempio di come l’indagine sul contemporaneo vengpa portata avanti dallo Short Theatre, quest’anno significativamente sottitolato Provocare realtà.

Ângela Rocha disegna con estrema pulizia e in una scenografia minimal il senso cosmico di António e Cleópatra, spettacolo di punta di questa edizione. In esso, Sofia Dias e Vítor Roriz sono i due celebri personaggi storici, emblematici della Storia e omaggiati da rappresentazioni di sommo livello (le note di regia, da cui citeremo in corsivo, nominano Shakespeare e Mankiewicz, ma l’elenco è ben lungi dall’esaurirsi). I due abitano un ambiente dal quale a emergere dovrebbero essere l’unione indissolubile di António e Cleópatra («se si pronuncia uno dei nomi, l’altro seguirà. La memoria non può evocarne uno senza l’altro») e la profondità di un’analisi (rivelatasi in)capace di far convergere l’antropologia con l’analisi storica, sociale e politica, ossia con il destino dell’Occidente («hanno mescolato l’amore e la politica, inventando così la politica dell’amore»).

Tiago Rodrigues affida loro un testo in cui la frantumazione del verso esonda nella ridondanza didascalica del suono, mentre la reiterazione ossessiva di incisi verbali («António», «Cleópatra», «Espira», «Ispira») edulcora il ritmo sincopato della narrazione in un oceano di noia e di mancanza di interesse nei confronti di uno sviluppo (narrativo, scenico, interpretativo, ecc) ampiamente prevedibile nella sua inesistenza.

Se, da un lato, l’intenzione – di cogliere nella loro relazione di sguardi e parole il modo in cui intimità di due amanti riuscì a segnare un’epoca (nella direzione del Principato augusteo) – manca del tutto di audacia e riduce i protagonisti da carismatici rappresentanti di una visione dell’amore giustificato solo come valore estetico ad adolescenti isterici, dall’altro – e soprattutto – sconforta l’idea che la novità drammaturgica possa provenire decostruendo la recitazione in un esercizio di stile («Il viceversa è una regola dell’amore. Il viceversa è una regola del teatro») o, peggio, in un training di tecnica attorale, fino a pensare di creare distanza e straniamento («questa performance è vedere il mondo attraverso la sensibilità delle anime di António e Cleópatra») semplicemente stremando il pubblico nell’assimilazione verbale dell’opera e nella sospensione di uno spettacolo chiuso nella cerebralità del proprio autore e privo di qualsiasi virtù (non solo contemporanea).

Di tutt’altro genere, espressione della prospettiva dell’eccesso formale, Hope Hunt and The Ascension into Lazarus di e con l’enfant terrible Oona Doherty. L’artista nord irlandese presenta una coreografia fisica e non innovativa dal punto di vista estetico, nonché grezza nel combinare capoeira, hip hop e accenni di danza neoclassica, ma straziante se riferita al contesto anagrafico e sociale della sua autrice e interprete.

La Doherty offre stilemi corporei impressionisti e potenti, dà forma a una performance non coerente e, proprio per questo, emotiva, introdotta dall’ingresso di un auto guidata dal dj Luca Truffarelli nello spazio di attesa del pubblico. Lanciata dal sedile posteriore, interagisce con gli spettatori prima di invitarli a entrare in sala sotto il pesante accompagnamento di Touch me di Rui Da Silva.

Capelli legati, jeans e maglietta abbondanti, la Doherty è una scheggia impazzita. Deforma il proprio accento in sonorità prima dure, poi prettamente irlandesi, plasma una danza urbana in un palco caratterizzato da una montagna di spazzatura; denuncia verbalmente frammenti di violenza della propria società e, allo stesso tempo, si espone a una fragilità che si manifesta in un equilibrio instabile e nella distorsione della parola che sembra macerarle dentro, prima di provare a risorgere, bianca come Lazzaro, nel Miserere di Gregorio Allegri.

Quella di Oona Doherty è allora una ricerca scomposta della contemporaneità, che non si piega all’ansia dell’originalità a tutti i costi, ma dona se stessa nella spontaneità più autentica. Non un capolavoro e a tratti ingenua, Hope Hunt and The Ascension into Lazarus è una coreografia che, di certo e a differenza di António e Cleópatra, vale la pena di essere vista.

Gli spettacoli sono andati in scena all’interno di Short Theatre 2018
La Pelanda
7 settembre

Teatro 2, ore 20:15
António e Cleópatra
testo Tiago Rodrigues, con citazioni da António e Cleópatra di William Shakespeare
regia Tiago Rodrigues
con Sofia Dias e Vítor Roriz
scenografia Ângela Rocha
costumi Ângela Rocha, Magda Bizarro
disegno di luz Nuno Meira
estratti musicali dalla colonna sonora del film Cleópatra (1963) de Alex North
collaborazione artistica Maria João Serrão, Thomas Walgrave
allestimento del palco Decor Galamba
traduzione inglese Joana Frazão
produzione esecutiva Rita Forjaz
produzione esecutiva nella creazione originale Magda Bizarro, Rita Mendes
produzione TNDM II dalla creazione originale della compagnia Mundo Perfeito
coproduzione Centro Cultural de Belém, Centro Cultural Vila Flor, Temps d’Images
residenza artistica Teatro do Campo Alegre, TNSJ, Alkantara
ringraziamenti Ana Mónica, Ângelo Rocha, Carlos Mendonça, Luísa Taveira, Manuela Santos, Toninho Neto, Rui Carvalho Homem,  Salvador Santos, Bomba Suicida
con il sopporto Museu de Marinha
durata 80′

Teatro 1, ore 22:30
Hope Hunt and The Ascension into Lazarus
di e con Oona Doherty
autista e dj Luca Truffarelli
direzione tecnica Sarah Gordon
produzione Gabrielle Veyssiere
durata 30′