Del darsi interamente (o meno)

La nostra serata di venerdì 5 luglio a Inequilibrio 22 inizia con Spin, spettacolo che colora e inquadra con il suo tema il resto della nostra avventura emotivo/teatrale. Che cosa significa narrare? Che ne è della narrazione? Da Spin a Padre Nostro, passando per Bella Bestia ci interroghiamo sul senso di raccontare e del raccontare attraverso il teatro.

Fermo restando che il teatro non serve solo a raccontare, intendiamo il raccontare nel senso più vasto del termine: elaborare, dare senso. Fare ciò che una persona “normale” non è in grado di fare: ricomporre il vissuto, tracciare sentieri inconsueti (non originali, ma sconosciuti), superare i limiti, puntare verso nuovi modi di intendere la propria vita. Con la sfida e magari l’imbarazzo di farlo in un tempo in cui le grandi narrazioni sono morte, e con la responsabilità enorme di farlo in mezzo ad una marea comunicativa in cui la spazzatura regna sovrana.

Spin di Proxima Res ha il merito di puntare il dito sulla figura dello spin doctor e sulla questione della manipolazione – attraverso il racconto – che ogni “squadra narrativa” di buona volontà opera sulla realtà. Il narrare è oramai una strategia utilizzata in politica per generare consenso, così come è presente nel marketing per ottenere profitto. Lo storytelling, al di là del suo significato letterale, è molto più una pratica funzionale alla promozione della vendita che l’antico rito di dare senso al mondo.
Che dire su Spin come spettacolo in sé? Verrebbe da chiamarlo “L’arte dell’imprevisto/previsto di due (tre) saltimbanchi” a cominciare da quei buoni venti minuti iniziali di finti imprevisti e gag. Ci mette una vita a ingranare e sinceramente si comprende molto poco il senso di aggiungere tutta una serie di finti inconvenienti in stile varietà televisivo di livello non eccelso. Quando finalmente ingrana la storia, si usa il finalmente non perché sia necessario avere una storia, ma perché in certi casi (come questo) girare a vuoto non è fenomeno di tumulto creativo ma semplice mancanza che, a lungo andare, stanca. Per il resto non si comprende perché sottolineare con tanta enfasi la dicitura teatro musicale, visto che, a parte l’essere eseguita in scena dal vivo, in sinergia con lo spettacolo, la musica non assume particolare rilevanza (anche se la sua presenza risulta ben bilanciata).

Bella Bestia dell’insolita coppia Sarteanesi-Bosi, spettacolo al femminile, racconta le vicende e le tribolazioni di due donne alle prese con un grande male: l’ossessione amorosa, da un lato, e la malattia mortale, dall’altro. In entrambi i casi un buco nero che divora ogni cosa e altera lo spazio e il tempo, che consuma e orienta tutte le energie.
Una desolazione sentimentale, in cui l’universo maschile gocciola squallore, e in cui solo il ricreare immagini e momenti sembra avere un potere di guarigione, dalla sfiducia in se stessi e nella vita. Uno stare insieme quasi per forza, per abitudine. E quindi anch’esso senza speranza.
Di Bella Bestia stupisce, innanzi tutto, il surrealismo tutto particolare dello spirito toscano di Sarteanesi. Un surreale quotidiano specifico, fatto di concretezza, attenzione ai piccoli dettagli, ai piccoli scarti. Divertente e dissacrante. In grado di smontare qualsiasi costruzione. Bella bestia non è certo un racconto, in senso tradizionale, perché non c’è narrazione di una storia, ma solo il rispecchiamento di una situazione. Lo spettacolo è il ricamare in superficie il bordo di un burrone. Per questo in qualche modo delude. Delude perché avrebbe potuto, visto l’argomento, portare il proprio impegno a un livello superiore. Delude perché avendo scelto di trattare un tema così importante e ferite tanto vive, che avrebbero bisogno di cure, si rifiuta di farlo. Non è canto e balsamo, ma solo cinico rispecchiamento. Così, aldilà del bel concetto di “passare il tempo a conservare”, ci rimane solo il senso di questa mancanza, di questo tirarsi indietro, di questa negazione.

Il mattino seguente, sabato 6 luglio, ci aspetta un risveglio impegnativo, ma che viene ripagato dalla tranquilla atmosfera della spiaggia del Cardellino e soprattuto da Padre Nostro di Babilonia Teatri, spettacolo che mette un punto a tutte le perplessità della sera precedente.
Non importa la forma, il modo. Il teatro si dimostra ancora un mezzo per attraversare l’esistenza, toccarne la carne più viva e, soprattutto, per andare oltre. Perché qui non si tratta neanche esattamente del dare senso. Padre Nostro è un percorso di redenzione e iniziazione. Un viaggio che porta oltre, verso una nuova tappa dell’esistenza.
Lo spettacolo non è certo un racconto in senso tradizionale. Come descriverlo?
Una serie di scambi verbali (ordini, più che altro) del padre verso i figli e dei figli verso il padre (lamenti e rimproveri). Azioni forti: il parto, come divinità che nascono da Zeus (la location dona suggestioni in sé), la morte, l’assassinio, il risentimento, l’odio.
La forma, quella propria dei Babilonia: microfoni, “filastrocche” a due, musiche, canzoni, strutture a blocchi senza una storia lineare. Un sacrificio di Isacco dove i ruoli sono invertiti: Dio è morto insieme al padre, è sceso dalla rupe, si rivela un uomo come gli altri, un mago di Oz, senza altra qualità che l’essere umano. Ignorante, inconsapevole, e naturalmente violento.
Padre Nostro è un viaggio di elaborazione nella figura del padre, passando attraverso la trasfigurazione del ruolo familiare, sociale e trascendente. Spogliando, demistificando tutto. Non resta che un verme nudo che ha avuto il solo ruolo materiale di concepire per metà una nuova creatura. E che si arrabatta il resto della vita facendo quello che può.
Perché non c’è un copione nella vita. Nonostante i figli abbiano tutte le ragioni del mondo a pretendere saggezza dal padre, la verità è che normalmente la generazione è soltanto un fatto fisico. La maturità è solo sessuale e non intellettuale, emotiva o psicologica (che altrimenti rischieremmo davvero di essere troppo felici).
Gli “avresti dovuto” dei figli si schiantano sul muro trasparente del reale che protegge il volto ottuso del padre, il quale guarda senza capire e sembra chiedere: “ma di cosa stai parlando?”. La lista di recriminazioni sembra non avere fine e si è così stanchi di sentire le accuse incessanti e rabbiose (per quanto legittime) dei figli che scatta qualcosa. Basta! Basta lamentarsi – che noia!
Il percorso è catartico: si vivono emozioni e si supera il dolore. Il viaggio cura, cauterizza, libera. Coccola quei bambini con i fucili puntati, che hanno (simbolicamente) ucciso il padre, e stanchi di piangere e gridare, tornano lì, a casa, sulle gambe dell’uomo che giace a terra e gli accarezza con amore la testa. Ed è bellissimo quel tornare a casa, che non è sconfitta ma il raggiungimento di un livello più alto di vicinanza, di amore, di pace con se stessi e con la vita. Un rito di passaggio. Possibile solo dopo aver toccato le più oscure profondità del dolore.
E poi andare via insieme, all’interno di una relazione che è aldilà delle spiegazioni, della rabbia e del risentimento, in un amore che è passato attraverso la resa dei conti e si manifesta per quello che è, e che è possibile solo dopo aver affrontato la verità e la legittimità della collera e del rancore.
Padre Nostro è una celebrazione: è celebrare il lutto per tutto ciò che non è stato, per tutta la rabbia provata. Ed è una rinascita, è il passare oltre. Magma tumultuoso e sempre in movimento in cui tutto coesiste, passato e futuro, inferno e possibilità. L’altrove.
Scrive Gibran che i figli non ci appartengono, appartengono alla vita. Anche i padri, allora. Ed è una conquista lasciarli andare.
Turbamento. Catarsi. Si esce trasformati. Le ferite curate, pronti a una nuova fase della vita: una delle più belle cose che uno spettacolo possa donare allo spettatore.
Chapeau.

Gli spettacoli sono andati in scena nell’ambito di Inequilbrio 2019:
Castiglioncello, varie location

venerdì 5 luglio, ore 19.00
Castello Pasquini
Sala del Camino
SPIN
testo Renato Gabrielli
regia The Spin Masters
con Emiliano Masala, Massimiliano Speziani e Gaetano Cappa
musica/suono Gaetano Cappa
spazio Luigi Mattiazzi
produzione Proxima Res

ore 20.00
Auditorium
BELLA BESTIA
di e con Francesca Sarteanesi e Luisa Bosi
produzione Officine della Cultura
con il contributo della Regione Toscana
con il sostegno di Centro di Residenza della Toscana (Armunia – CapoTrave/Kilowatt)

sabato 6 luglio, ore 7.30
Spiaggia del Cardellino
PADRE NOSTRO Anteprima
di Enrico Castellani e Valeria Raimondi
con Maurizio Bercini, Olga Bercini e Zeno Bercini
direzione di scena Luca Scotton
scene Babilonia Teatri
produzione Babilonia Teatri, La Corte Ospitale
coproduzione Operaestate Festival Venetopunto

Ph:
Antonio Ficai – Spin
Ilaria Costanzo – Bella Bestia
Daniele Laorenza – Padre Nostro

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