L’abbuffata del non-pensiero

In scena al Teatro dell’Orologio, lascia il segno Infinito Futuro, adattamento di Antonio Sanna da 1984 di George Orwell. Disseminati tra il pubblico, i sette personaggi lanciano una profezia grottesca sulla dittatura del consumismo: la bulimia di rapporti, merci e informazioni, che annienta il pensiero

Qual è il futuro dell’umanità: era la domanda angosciata, e tuttora cruciale, che si poneva George Orwell nello scrivere il suo capolavoro, il profetico 1984 che nel 1948, all’indomani della seconda guerra mondiale e degli orrori consumati dal nazifascismo, preconizzava altre dittature che avrebbero annichilito l’uomo. E quell’interrogativo rimbalza oggi nello scenario simbolico e post-contemporaneo voluto da Antonio Sanna per il suo Infinito futuro, spettacolo bello e necessario sul modello del romanzo orwelliano, in questi giorni al Teatro dell’Orologio di Roma.
Nella dittatura paramilitare immaginata da Sanna, uomini e donne sono irreggimentati. I sette personaggi sono zombie disseminati tra gli spettatori come sacerdoti di un rito grottesco. Ma a intervalli regolari saltano su dalle sedie e sono colti da un’ipnosi collettiva. Marciano e urlano in coro i comandi-slogan impartiti da un altoparlante: nonsense ossessivi e violenti, come «pronti per i trenta secondi dell’Amore! per i trenta secondi del Civile rifiuto!», ossimori come «benevolenza cattiva!», e ancora il mantra «Ci libereremo di chiunque ci dà fastidio, anche di noi stessi!» seguìto da un immancabile «lunga vita al Grande Fratello!».
Il protagonista Eclarius Mann (un bravissimo, sofferente Francesco Sechi), giornalista del Ministero della Notizia, è tra i pochi esseri umani a ribellarsi intimamente alla morte del pensiero, e a ricordare il passato più autentico e umano precedente alla “Grande Rivoluzione”. La sua nostalgia ricorda quella di Edward G. Robinson in 2022: i sopravvissuti (splendido film di fantascienza del 1973 sul futuro dell’umanità): nello squallore sintetico del mondo, il vecchio sceglie il suicidio in un istituto, allietato da immagini di mari, montagne, animali perduti. Così fa anche Mann. Cose che non dovrebbe fare. Psicoreati. Scrive un diario con le sue emozioni e speranze. Compra pezzi di memoria negli empori dei sobborghi: lamette da barba, la maionese, un libro di storia. Conosce la bellissima Julia, membro della Lega del Sesso (l’algida e sensuale Laura Amadei) e con lei, in una soffitta che diventa alcova, intraprende i due atti più rivoluzionari: la cospirazione politica e una storia d’amore. Quelli sono i giorni del piacere e della tenerezza, in cui il cuore vola («Solo l’amore riempie di vita, conoscenza ed energia…»), i giorni delle domande e della coscienza («Com’è possibile che a nessuno venga voglia di capire?»). La coppia entra nella Fratellanza Umana, la resistenza segreta. I due amanti ne contattano un sedicente capo, il gelido Moreno (lo stesso Sanna), pronti a rischiare la vita, la tortura, la “vaporizzazione”.
Con una virata sottile rispetto al testo di Orwell, nella pièce di Sanna la verità artificiale non è univoca e imposta, ma viceversa soffocata da cumuli di opinioni, versioni, notizie inutili. Anche la “Neolingua” semplificata di Orwell diventa una “Liber-lingua”, babele di neologismi surreali che il funzionario Van Siri (l’eccellente Ezio Conenna) registra con fanatismo nell’undicesima, interminabile edizione del Vocabolario. Persino l’informazione e la cultura servono a fagocitare le menti: strabordanti, supine alla logica del consumo, come pure il troppo cibo e i rapporti mercenari. Un intelligente capovolgimento, quello di Sanna: la libertà non è banalmente proporzionale al numero di opzioni disponibili, ma è uno stato interiore legato alla capacità di scelta, anche fra due sole possibilità. Per parafrasare l’Amélie Nothomb di Metafisica dei tubi, l’essere umano diventa tale quando impara a dire il primo “no”.
In un clima di delazioni reciproche, serpeggia il terrore dell’arresto, che attanaglia Van Siri, gli Utenti dell’emporio (Moulaky e il Nonno, interpretati da Gianfranco Miranda e Stefano Thermes), ma soprattutto Napoli, tragico clown del sistema (l’espressivo Giulio Pierotti), scoperto a cantare, nel dormiveglia, una canzone scurrile sul Grande Fratello.
Una società, quella di Infinito futuro, di abbuffate coatte, iperproduttiva e frenetica, in un’utopia malata di civiltà immortale. Dopo l’arresto di Eclarius Mann e Julia, l’agghiacciante tortura di Mann inizia proprio con un enorme imbuto infilato in gola, da cui due psicopoliziotti rovesciano enormi derrate di cibo. Continua con l’interrogatorio di Moreno, che si rivela un kapò della dittatura e un manipolatore della mente. Il subdolo aguzzino («Io sono il tuo carnefice, il tuo protettore, il tuo amico» gli dice) porta Mann ad ammettere che una stessa mano può avere contemporaneamente «cinque dita; tre; nessuna». Ma l’annichilimento finale di Mann, la sua disumanizzazione definitiva, sono raggiunti con la paura. «La paura, quella che cambia d’abito per non farsi riconoscere e poi diventa insopportabilmente ingombrante, è la vera protagonista di questo spettacolo», dice il regista. Di fronte alla minaccia di essere leccato, morso, divorato dai topi – la sua fobia – Mann rinnega Julia e il pensiero più sovversivo: l’amore. E caccia un urlo atroce: «Fatelo a Julia, non a me!».

Lo spettacolo continua:
Teatro dell’Orologio – Sala Grande
via dei Filippini, 17/A – Roma
fino a domenica 18 dicembre
orari: da martedì a sabato ore 21.15, domenica ore 17.30
biglietti: intero 14 Euro, ridotto 12 Euro

Cubatea presenta
Infinito futuro
di Antonio Sanna
liberamente ispirato a 1984 di George Orwell
regia Antonio Sanna
con Laura Amadei, Ezio Conenna, Gianfranco Miranda, Giulio Pierotti, Antonio Sanna, Francesco Sechi, Stefano Thermes
con le voci di Laura Facchin, Gianni Giuliano, Vittorio Guerrieri, Alessandra Korompay, Silvia Tognoloni, Alessandra Zibellini