Quando il padre è la scheggia di una bottiglia rotta

Punta Corsara torna a La Spezia per la stagione di Fuori Luogo con Io, mia moglie e il miracolo. Risate amare e violenze quotidiane.

Afferma lo psicanalista Massimo Recalcati, ricordando Jacques Lacan, che questa é l’era del padre svaporizzato, ossia che afasia e amnesia sono i sintomi della svaporizzazione del padre.
Ed è curioso che in fondo si possa dubitare del fatto che questo marito, protagonista di Io, mia moglie e il miracolo, forse non ricordi di aver commesso un delitto (come di avere in qualche modo causato la morte del gattino dalla faccia strana).

La parola del padre non è più la bussola, non è più l’ultima parola che chiude una discussione. È screditata. Il padre non decide ed è la moglie a sbagliare. Sempre.
C’è disorientamento, confusione, non c’è niente a cui guardare per ritrovare la strada (tralasciando, ovviamente, l’icona pop della vecchietta dell’Ace).
Il padre, sconcertato dal caos dei nuovi tempi, si volge all’indietro, all’epoca felice in cui era rispettato; l’epoca in cui picchiava la moglie (divertente e grottesco è il momento in cui è la stessa moglie a proporre al marito di picchiarla per vedere se può funzionare ancora a renderlo felice). Un’epoca che non sembra poter essere recuperata, nonostante le botte si possano ancora dare, volendo.
Il padre vuole ottenere nuovamente il rispetto (la fantomatica scuola non deve insegnare questo alla figlia? Dalla lettera che viene inviata ai genitori, la scuola sembra un luogo di rieducazione).
Il recupero di un’autorità, dell’obbedienza, del conformismo dei tempi passati diventa complicato una volta che il padre è evaporato. Io, mia moglie e il miracolo porta in scena non tanto la mitica “famiglia perfetta”, ma la famiglia perfetta di oggi, con la coscienza morale e la consapevolezza di oggi: nessuna.
La famiglia tradizionale è privata dei suoi antichi presupposti – da oltre un secolo Dio è morto e con lui è morta l’autorità paterna e il fondamento della tradizione.
Così si ripetono schemi del passato, scheletri senza profondità morale o intellettuale. Gusci vuoti, sì, ma comunque taglienti, pericolosi, mortali.
Guardando lo spettacolo, si potrebbe affermare che l’annaspare del padre, in preda allo smarrimento, comporti la perdita dei figli: sparizione o addirittura uccisione, più o meno figurata. Ci si domanda cosa rappresenti il miracolo. Forse la pervicacia e l’inesauribile forza della violenza e della negazione fondata sulla paura? La figlia è insieme morta e non morta (come il gatto di Schroedinger), così come il padre l’ha e non l’ha uccisa. Quel che rimane è la sensazione che la realtà è inaccessibile proprio grazie alle costruzioni verbali che la descrivono.
Con flebili e banali asserzioni, il discorso si fa sottile e inconsistente come le ragnatele. Anche se prive di fondamento, le parole continuano a creare la realtà, soprattutto attraverso una costante e convinta negazione. Il discorso sulla scena è grottesco, surreale, assurdo, ma di una particolare qualità: non è tanto fàtico, quanto piuttosto privo di consapevolezza. Le frasi sono piccoli ordigni senza sostanza. Ancora una volta, gusci vuoti, strutture senza mente. In questo modo si potrebbe dare ragione della banalità di un testo che, sotto altri punti di vista, solleva qualche dubbio riguardo il suo pieno funzionamento a livello drammaturgico.

La messinscena suggerisce, nell’uso delle luci e dello spazio, un’atmosfera clinica, asettica e vagamene algida (anche per prossemica e recitazione) tanto da essere quasi fastidiosa, sempre sull’orlo di una crisi (di nervi). Tuttavia l’uso dello spazio e dei gesti, intesi come sistemi di segni, risulta talvolta incoerente.
Tenendo presente che, sebbene lo stile sia profondamente diverso dall’altro lavoro corsaro che abbiamo visto, Hamlet Travestie, la qualità della recitazione non dovrebbe comunque subire variazioni. Per quanto riguarda l’interpretazione, al contrario, abbiamo trovato un Vastarella e un Giroso decisamente sottotono rispetto all’ottima prova precedente, mentre una certa qualità si mantiene costante in Valenti e Pollice (per Rastelli e Nemolato, non possiamo fare confronti). Potrebbe però essersi trattato solo di una cattiva serata, con la concentrazione turbata anche da qualche problema tecnico.

In generale rimangono forti due impressioni: la prima, di sconclusionatezza; la seconda, di mancanza. Forse anche in questo caso si tratta di una scelta: è la rappresentazione di uno stato di cose.
Mancano, però, un certo rigore, una maggiore dose di allucinazione e violenza.
È come se, per qualche motivo (servirebbe certo assistervi nuovamente), lo spettacolo non riuscisse a ottenere ciò che cercava di conseguire, come se tutto non fosse ancora abbastanza: non abbastanza stilizzazione, non abbastanza pulizia, non abbastanza violenza, non abbastanza filo della lama.

Lo spettacolo è andato in scena:
Centro giovanile Dialma Ruggiero

via Monteverdi, 117 – La Spezia (SP)
venerdì 20 e sabato 21 gennaio, ore 21.15

Io, mia moglie e il miracolo

di Gianni Vastarella
con Christian Giroso, Vincenzo Nemolato, Valeria Pollice, Morena Rastelli, Emanuele Valenti e Gianni Vastarella
disegno luci Giuseppe Di Lorenzo
costumi Daniela Salernitano
collaborazione artistica e organizzazione Marina Dammacco
regia Gianni Vastarella
uno spettacolo di Punta Corsara
produzione 369gradi
con il sostegno di NUOVOIMAIE
spettacolo vincitore del premio I Teatri del Sacro 2015
con la collaborazione della Compagnia Scenica Frammenti/Teatro di Lari