Un vecchio frac torna a volare

Una disabilità che diventa cifra espressiva, induce una poetica originale e teatralmente efficace e, scansando il trabocchetto del pietismo, esprime col linguaggio della metafora i limiti della condizione umana.

Quelli della mia generazione forse si aspettavano una sorta di Amarcord, un’antologia dei motivi che avevano costituito la colonna sonora della loro adolescenza, alla fine degli anni cinquanta quando, spenti gli echi di paperi e colombe, Modugno si stava facendo spazio fra tristezze amiche della malinconia e supremi aneliti di donne avvinte come l’edera. Ma Io provo a volare – omaggio a Domenico Modugno, scritto e interpretato da Gianfranco Berardi, è tutt’altro.
Ho incontrato Gianfranco nel 2005, al Festival Internazionale del Teatro di Lugano, dove aveva presentato con successo il suo primo spettacolo, Briganti, aggiudicandosi il premio riservato alle nuove drammaturgie. Mi aveva impressionato un particolare uso della luce: lame taglienti che conferivano alla essenziale scenografia, per lo più immersa nel buio, un fascino singolare. Solo il giorno successivo avevo saputo della cecità che lo aveva colpito, a diciotto anni; ed ero rimasto ammirato nel rendermi conto di come, in quello spettacolo, creato assieme a Gabriella Casolari, la necessità di creare dei riferimenti spaziali, necessari a muoversi e orientarsi sulla scena, si fosse trasformato in segno teatrale, in suggestiva impronta originale.
Nella poetica della compagnia, la cecità di Gianfranco diviene quasi un gioco da prestigiatori, come nel sorprendente Il deficiente, dove si arriva a proporre un personaggio cieco, impersonato da un attore vedente, mentre il cieco Berardi interpreta, con assoluta credibilità, un vedente.
Con Io provo a volare, Gianfranco scrive e interpreta una sorta di parabola, a un tempo terragna e surreale. Sulle note del Vecchio frac, entra in scena con indosso un cilindro e una redingote sbrindellata, il viso calcinato di bianco, come un clown triste, un maldestro fantasma, o forse una di quelle figure volatili che popolano i quadri di Marc Chagall. E qui inizia un gioco fascinoso, sospeso fra realtà e metafora, fra autobiografia e cabaret, fra distacco beffardo e frenesia ipercinetica; con momenti di intensa poesia, con parafrasi shakespeariane, che si alternano alle canzoni di Modugno (solo quelle scritte prima del successo di Volare), proposte con professionalità da Davide Berardi (il fratello minore) e Giancarlo Pagliara. Lui le accompagna con azioni mimiche e di danza, alcune innervate da un’energia sorprendente, quasi selvaggia, fino ad uno scioglimento finale.
La cecità di Gianfranco Berardi non è esibita, né mascherata; non è oggetto di alcuna captatio pietistica, ma affiora come metafora dei limiti della condizione umana. Salvo tornare a saldarsi, in una delle battute finali, con l’identità dell’interprete di quella spettrale figura in nero, e caricarsi di un’eco inquietante:
«Vago, cieco, sospeso in quest’abisso scuro ed uniforme che mi circonda.
Prigioniero del buio, mi rifugio nel vuoto, seguendo d’istinto un minimo contrasto di luce.
Il giorno e la notte per me sono uguali:
miraggi abbaglianti,
riflessi ingannatori.
Esiste solo il caso; e così, ogni notte, io provo a volare.
Spingo, cado, lotto, ricomincio;
disturbando chi sta intorno, che non vuole, ha paura, e mi frena nello sforzo di volare.
Ma non riesce perché io so che voglio: questo basta».

Lo spettacolo continua:
Teatro della Cooperativa
via Hermada, 8 – Milano
fino a domenica 28 ottobre
orari: da martedì a sabato, ore 20.45; domenica, ore 16.00; (lunedì chiuso)

Io provo a volare – omaggio a Domenico Modugno
di e con Gianfranco Berardi
regia di Gabriella Casolari
e la partecipazione di Davide Berardi (voce solista e chitarra) Giancarlo Pagliara (fisarmonica)
produzione Compagnia Berardi Casolari