Che cos’è l’identità?

teatro-immediato-pescaraSaverio La Ruina, vincitore del prestigioso Premio Ubu 2012 come Miglior attore, porta a Pescara il suo Italianesi

Spettacolo intenso e impegnato, racconta la storia dei circa 120.000 italiani (tra soldati, coloni e lavoratori) rimasti imprigionati in Albania alla fine del secondo conflitto mondiale, quando, dopo la caduta di Mussolini e l’instaurazione del regime comunista di Enver Hoxha, gli italiani divennero i principali nemici del Regno d’Albania.

La Ruina, autore e attore del lungo monologo, tratta con una delicatezza indicibile un tema ostico: la libertà negata, e le sue conseguenze sulla costruzione dell’identità personale di chi è rimasto prigioniero.

Il suo spettacolo, Italianesi, ha innanzi tutto il merito di informare su un episodio oscurato della storia italiana ed europea: ossia l’internamento, nel 1945, nei campi di concentramento albanesi, di centinaia di migliaia d’italiani – liberati solo nel 1991, quando l’Albania, con le sue prime elezioni democratiche, fece cadere il regime comunista di Hoxha. In secondo luogo, lo spettacolo ci pone di fronte a molti interrogativi: dove si forma l’identità del singolo, dove risiede? Nel luogo in cui si vive, con le sue tradizioni e la sua cultura? Oppure nella memoria di un’idea di appartenenza, di un dato anagrafico che è quotidianamente confutato da uno stato reale di detenzione ed esilio coatto?

Tonino, un vecchio sarto italiano rimasto prigioniero in Albania, racconta la sua tragica storia di bambino, prigioniero in un Paese straniero insieme alla madre per oltre quarant’anni – dal 1945 al 1991, quando gli italiani  detenuti in Albania vennero finalmente rimpatriati in Italia.

Il linguaggio del testo è decisamente poetico nella sua semplicità e immediatezza: il bambino si e ci racconta il suo mondo, attraverso i colori con i quali dipinge – grazie all’apporto della propria fantasia – il grigio e il verde caserma delimitati dal filo spinato del campo di concentramento. La “bambina dai capelli colore del grano” – che poi diventerà sua moglie – e altri personaggi, come il figlio Leoncino, ci restituiscono il senso profondo di felicità che Tonino adulto, nonostante il dramma subito e mai dimenticato, è riuscito a vivere e a costruirsi da solo, nella continua attesa della ricongiunzione col padre rimpatriato al termine della guerra.

Una poesia del quotidiano profonda e romantica, che con la sua lampante semplicità (il protagonista non si pone mai domande esistenziali: lascia che ce le poniamo noi) si staglia contro l’abbrutimento dei campi di concentramento, l’assurdità delle leggi (ricordiamo che solo nel 2006 il governo italiano si è preoccupato di riconoscere il diritto alla ricostruzione pensionistica per i cittadini italiani rimpatriati nel ’91-’92), le torture subite (Tonino è claudicante a causa della rottura intenzionale del ginocchio da parte della polizia del regime).

Il tema di fondo – come già accennato – è la ricerca dell’identità: la sua possibile costruzione in un simile stato di cose e, in secondo luogo, la sua identificazione con un Paese e in un clima socio-culturale specifici – albanese? Italiana? Italianese, appunto. Nel 1991 Tonino parte per l’Italia, insieme al figlio Leoncino, per un viaggio che è, evidentemente, metafora della ricerca dell’identità perduta, usurpata, recuperabile forse attraverso il ricongiungimento del passato (il padre) con il presente (Tonino) nella speranza di un futuro diverso (Leoncino). La figura del figlio, proiezione del padre di Tonino oltre il campo di concentramento, rappresenta la prosecuzione di un’identità ideale, di un’origine immaginata ma quasi dimenticata che l’esule continua a inseguire convinto che solo il ritorno in Italia possa significare la fine della prigionia, la ritrovata libertà e, quindi, la possibilità, finalmente, di costruirsi una propria identità – diversa da quella imposta da altri. Al contrario, una volta arrivato in Italia, Tonino rimane deluso dall’incontro con il padre, che si è creato una nuova famiglia, ed è diventato un altro, un estraneo. La scoperta finale sarà l’ammissione che è impossibile fuggire dalla prigionia perché la prigionia è uno stato mentale, prima che fisico: se si è privati della libertà, se si subisce un abuso, non si è più liberi perché l’identità si è strutturata sulla base di un presente e di un vissuto specifici – anche quando si sia inseguito un sogno diverso.

Eppure, il ricongiungimento con il padre ha su Tonino un effetto positivo perché gli consente, finalmente, di porre fine a un’attesa e a un’aspettativa durate tutta una vita. Per “nascere” davvero, per essere, ora, davvero se stesso: perché “si nasce solo quando si è liberi”.

Le parole urlano la realtà più della realtà stessa: Saverio La Ruina trasmette al pubblico tutta la drammaticità dell’oltraggio subito, delle torture, della libertà negata per oltre 40 anni senza minimamente accennare a elementi di critica politica, a sentimenti d’odio, rancore o vendetta. Lo fa con la delicatezza e il pudore delle storie semplici, con aneddoti ironici e metafore infantili e, proprio per questo, efficaci, come la percezione della libertà assaporata per la prima volta nel tanto agognato viaggio in Italia e descritta attraverso la metafora dei piccioni (“volavamo liberi, come dei piccioni, verso l’amata Italia”), in un crescendo retorico che culmina in una battuta: “In Albania questo non poteva avvenire, perché noi, lì, ce li mangiavamo i piccioni…”. Il riso però si fa amaro, commosso, pietoso verso quest’uomo semplice e dimesso, rassegnatamente triste, che ancora si interroga, con un’ingenuità disarmante, su come sia possibile che certe cose avvengano.

Italianesi è uno spettacolo importante, profondo, niente affatto retorico né demagogico, che ci ricorda un pezzo della storia passata e, forse, riesce a far luce anche su tanti aspetti di quella presente: ci dice come gli altri (in questo caso gli albanesi) percepiscono noi italiani, e ci insegna come noi dovremmo imparare a percepire tutti i migranti che sbarcano sulle nostre coste, mentre fuggono da situazioni di violenza, abusi, negazione dei propri diritti politici ed esistenziali.

Albanesi possiamo esserlo anche noi.

Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro Immediato
via Gobetti, 3 – Pescara
sabato 23 febbraio, ore 21.00 – domenica 24 febbraio, ore 18.00 e ore 21.00
Produzione Scena verticale presenta:

Italianesi
di e con Saverio La Ruina
musiche originali eseguite dal vivo da Roberto Cherillo
luci Dario de Luca