Nel nome di Bach

Alla Sala Verdi del Conservatorio torna l’ormai tradizionale appuntamento con il Bach di Angela Hewitt, tra tradizione e innovazione.

In principio era Glenn Gould – genio pianistico elevato all’ennesima potenza che affronta una sfida mai osata prima con tanta energia e convinzione: proporre il Bach per tastiera come autore pianistico, dedicando grande attenzione alle particolari qualità di questo strumento, che il compositore di Lipsia non ebbe il piacere di conoscere. Il risultato è una lettura sconvolgente, moderna e filologica allo stesso tempo, che affronta l’intero repertorio: dalle mitiche Variazioni Goldberg ai due volumi del Clavicembalo ben temperato, dalla serie di Suites all’Arte della Fuga.
Agli inizi degli anni Novanta il panorama della musica classica è stato illuminato da un altro interprete che ha fatto di Bach il suo passpartout per il successo: Andreas Schiff. Completamente diverso dal suo illustre predecessore, senza quel mix miracoloso di genio e sregolatezza, ma supportato da un’estrema lucidità ed eleganza. A suo tempo ha compiuto un’operazione di “pulizia” di tutti quei sostrati interpretativi accumulatisi nel corso della storia della prassi esecutiva. Un gesto curioso ma esplicativo di questa volontà del pianista ungherese: quello di sedersi allo strumento allargando i piedi in modo netto per far capire al pubblico in sala che l’esecuzione è fatta “senza trucco e senza inganno” – evitando di usare qualsiasi pedale che possa aiutare il suono.

Ben presto Schiff si è affermato come interprete non solo bachiano, passando il testimone – all’inizio degli anni Duemila – ad Angela Hewitt. Canadese, vincitrice nel 1985 del Concorso Pianistico Internazionale Bach di Toronto, è approdata ospite delle Serate Musicali a Milano nel 2003.
Nel corso degli anni affronta la produzione principale di Bach come una missione, ma – nonostante i buoni riscontri di pubblico soprattutto all’inizio della sua carriera – non sembra aggiungere niente di particolarmente nuovo. O meglio: il suo modo di suonare è asciutto, forse fin troppo essenziale. Si capisce che vuole attuare un suo percorso personale, ma non ha né guizzi interpretativi originali, né si può dire che proponga delle soluzioni innovative.

Il programma, tuttavia, è costruito in modo intelligente: le prime tre Suites Francesi alternate alla Toccata in re maggiore BWV 912 e alla raccolta completa delle Invenzioni a due voci BWV 772-786.

Dopo un tiepidissimo inizio con la Suite Francese n. 1 in re minore BWV 812, la serata procede meglio con la Toccata, per poi raggiungere il momento topico con la Suite Francese n. 2 in do minore BWV 813. L’Allemande di apertura ha il suono giusto e la concatenazione di danze sembra condotta in modo più coeso e incisivo.

In realtà, a voler studiare a fondo le qualità della Hewitt, non si può dire che non affronti questo repertorio in modo corretto: le voci sono chiaramente distinte ed emergono nel modo giusto – quanto basta per rivelarne la trama contrappuntistica. Anche le dinamiche risultano evidentemente ponderate, ma forse il pubblico si aspetta qualcosa di più. Le poche libertà che vengono concesse spesso non sono sufficienti e, a volte stridono, con il rigore ritmico che, comunque, pervade questo tipo di musica. Effettivamente il compositore in questione è arduo e poco frequente nei recital pianistici proprio perché ricco di scomodità tecniche e musicali, che in pubblico non fanno altro che moltiplicarsi. Ecco il motivo per il quale, quando un solista decide di affrontare Bach in modo completo fa notizia e miete curiosità. Certo il compito di Angela Hewitt è ancora più difficile, avendo alle spalle numerosi e illustri predecessori (oltre ai citati Gould e Schiff, altri famosissimi artisti, come Sviatoslav Richter o Martha Argerich, si sono dedicati ampiamente a Bach, pur non facendolo diventare il proprio “cavallo di battaglia”). Tuttavia, non si può dire nemmeno con precisione cosa ci si potesse aspettare di nuovo: forse è già stato detto tutto.

Sarebbe stato un concerto un po’ in sordina, se non fosse per la sorpresa dei due bis concessi generosamente dall’artista in cui l’autore rimane lo stesso, ma qualcosa cambia – dato che la Hewitt sembra metterci maggiore entusiasmo dimostrando molto più carattere e facendo aleggiare in sala un’aria totalmente nuova che – questa volta sì – cattura letteralmente il pubblico, il quale alla fine applaude entusiasta, quasi in modo catartico. Fatto curioso: forse, dopo la tensione del concerto, la pianista è riuscita a lasciarsi andare a una musicalità più spontanea, o magari i brani proposti rientrano maggiormente nelle sue corde. Rimane il dubbio, ma non è un mistero che questa serata abbia avuto un esito più felice di ogni più rosea previsione.

Lo spettacolo è andato in scena:
Conservatorio G. Verdi

via Conservatorio, 12 – Milano
lunedì 16 gennaio 2012, ore 21.00

Pianoforte Angela Hewitt
J. S. Bach
Suite Francese n. 1 in re minore BWV 812
Toccata in re maggiore BWV 912
Suite Francese n. 2 in do minore BWV 813
Invenzioni a due voci BWV 772-786
Suite Francese n. 3 in do minore BWV 814