Il teatro Ringhiera presenta John Doe, il primo tra i sette lavori nati dal progetto di residenza della giovane compagnia Fattoria Vittadini.

Il confine cos’è? Una linea retta che traccia un limite, un corpo troppo vicino a un altro, una scala che non porta da nessuna parte.

Jon Doe è il nuovo progetto di Fattoria Vittadini che esplora i limiti dell’uomo sotto ogni aspetto. Ispirato alle storie dei messicani che, clandestinamente, cercano di oltrepassare il confine statunitense, la performance apre un campo di ricerca vastissimo evidenziando l’impossibilità per l’uomo di andare oltre a un punto che può essere lontano, ma che segna comunque un arrivo.

Una ragazza che corre intorno al palco, segnandone minuziosamente il confine, sembra sottolineare – con un ritmo quasi maniacale tanto è preciso – che da quello spazio non si può uscire. I corpi si intrecciano, inciampano l’uno nell’altro, a volte le distanze si annullano mentre, altre, i danzatori sono costretti a cercarsi.

La relazione con l’altro diventa paura di oltrepassare, perché se ci si avvicina troppo si può perdere di vista se stessi e confondersi nel diverso da sé. I corpi si lanciano, si lasciano cadere, si spingono oltre le proprie possibilità, ma troveranno sempre qualcosa o qualcuno pronto a fermarli – che sia una mano che li accompagna nella caduta, o la terra sotto i piedi che segna imponente un valico insormontabile: prima o poi il salto o la discesa avrà una fine.

In questo spettacolo Fattoria Vittadini – non in formazione completa – riesce a fondere un serio lavoro di ricerca sul personaggio e sulla sua psicologia con la danza pura. Mantiene altresì viva l’attenzione per coreografie di gruppo che ricordano la modern dance grazie a ensemble coinvolgenti, rimandando anche a una forte base classica per quanto concerne la preparazione. Fattoria Vittadini mette in evidenza la sua capacità – riscontrata anche nel precedente My True Self – di creare dei quadri visivi di forte impatto, grazie alla disposizione dei danzatori, che segue spesso una geometria in grado di creare un equilibrio di pesi, tra vuoti e pieni, che trasforma la scena in una fotografia vivente.

Unico elemento coreografico: una scala appesa al soffitto, che non segna solo il confine spaziale ma anche concettuale con tutto ciò che è spiritualmente troppo in alto per l’essere umano – o anche solo con ciò che è insormontabile. John Doe è infatti il nome che veniva attribuito ai corpi dei migranti che perdevano la vita nel tentativo di oltrepassare il confine messicano, e proprio il corpo di John Doe cercherà di salire su quella scala per arrivare a qualcosa di ignoto, ma cadrà e giacerà nudo e immobile sul palco allo spegnersi delle luci.

Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro Atir Ringhiera
via Boifava, 17 – Milano
sabato 12 e domenica 13 novembre
John Doe
coreografia Mattia Agatiello
con Chiara Ameglio, Cesare Benedetti, Noemi Bresciani e Maura di Vietri
testo Guendalina Murroni
costumi Giulia Zoggia
scene Irene Zardini
musica Luca Lombardi
Il progetto Fattoria Vittadini prosegue:
sabato 4 e domenica 5 febbraio 2012
Banchetto
di Riccardo Olivier