Non conosco uomo

delloscompiglioKind of Blue, come il titolo del capolavoro di Miles Davis. Sulle note predicanti di Nietzsche, la solitudine degli eletti si accende sotto i riflettori della Tenuta dello Scompiglio.

Ma senza il più pallido sospetto ne sono sicuro: era un sogno.
«Tu vai per il tuo sentiero della grandezza».
Alzarsi, lavarsi, asciugarsi…
«Tu vai per il tuo sentiero della grandezza».
E alla fine uscire.
No. Non si esce, invece.
«Tu vai per il tuo sentiero della grandezza». E soccombi, che di essa sei il prediletto schiavo.
Domenica 17 novembre, Tenuta dello Scompiglio, Vorno (in provincia di Lucca). C’è un uomo e l’uomo è nudo e afflitto ed è il vuoto attorno a lui. Kind Of Blue, di Cecilia Bertoni. Un progetto contemporaneo non alla portata di tutti, facente parte in origine di un trittico artistico, La Trilogia Dell’Assenza – che rimanda stranamente a quella Trilogia della Città di K. di Agota Kristof. Una muta, angosciata meditazione sulle diverse tipologie di solitudine che affliggono l’uomo.

Kind Of Blue, un tipo di blu, ma soprattutto un tipo di malinconia. Il più elevato, il più intimamente negato degli umani dolori: quello del Superuomo. «Qui nessuno deve venirti dietro di nascosto! Il tuo piede stesso ha cancellato dietro di te il sentiero, sul quale sta scritto: impossibilità».

La tuta, indossala. E gli stivali. Saresti sciocco a dimenticare il casco. Nello sguardo della Bertoni l’abbandono ha i colori morti della luna. Arrampicati, Superuomo, scala la vetta: «E se ormai ti sono venute a mancare tutte le scale, bisogna che tu sappia salire sul tuo capo». E ci arriva alla vetta, innegabilmente. Eccolo là. «Ma qui gli vennero in mente gli amici abbandonati […] E subito dopo accadde che colui che aveva riso si mettesse a piangere».

Mostro terribile, più inarrivabile di quelle stelle, ormai la sua dimora, la sua fredda e tanto lucida consolazione. Assai più insperate sono le persone. Ah, Superuomo, che vedi chiaramente solo ciò che è lontano. Così vicini sono all’uomo comune i beni che, tuo malgrado, vorresti per te.
Dimentica. Vuole la tua natura che tu solo trionfi su un mondo deserto e mormorante. Smettila, dunque, non ti riguarda.
Passano immagini, il superiore si protende. Gli piace l’uomo, lo ama. Terribilmente venera ogni più esiguo dettaglio della creatura meschina.

Compagni così indegni, un abisso li ha sempre distanziati. «Io con mia nonna, ancora un bambino. In bicicletta, io corro. Lei mi dice: rallenta. Ma non posso, non posso, nonna. Se vado abbastanza veloce salto, si staccano da terra, le ruote.» Lui non appartiene alla gleba. Siano i mortali a trangugiare la terra.

E guardiamo questo uomo comune, rassicurante e sporco nei suoi vizi viscerali (uno controlla l’orologio, lo controlla, lo controlla ancora; alla fine non ha scelta e si incide le cifre sulla mano col pennarello indelebile); anch’esso con un passato, non altrettanto luminoso, di dolore. Abbiamo un lui, abbiamo una lei, umiliati entrambi da bambini. E hanno inciso, come steli egizie, il resoconto del dolore passato lungo le loro schiene. Hanno la pelle intessuta di scritture. E qui si delinea, quasi una zona franca, il confine che si frappone tra l’uomo e l’attore. Di costoro conviene che sappiamo ogni cosa, fino al dettaglio più pruriginoso. «Non le persone», dice il Superuomo: «Ho bisogno di un giudice per definire me stesso. Soltanto un giudice può dirmi chi sono. Se bello o brutto, grasso o magro, buono o cattivo, simpatico, antipatico, tirchio o generoso…».

Eppure, non sei tu il prescelto della grandezza? Perché indugi? Perché compi con fare disperato gesti così comuni: spargere farina, girare il mestolo nel calderone, rovesciare oggetti, scrivere? Non farlo, Superuomo. Cessa di mimarti una quotidianità che non ti spetta: «Il tuo piede stesso ha cancellato dietro di te il sentiero, sul quale sta scritto: impossibilità».

Il culmine giunge con una cena, forse reale, forse fittizia, forse rimando a quell’ultima. Mangiano, bevono tutti. Ma essa è distante dal moderno Zarathustra: dimenticali. Una patina di roccia vetrificata si frappone eternamente tra te e loro. Questo è il prezzo, Eletto, della tua grandezza. Li accarezza, parla. Così vicini: “sia maledetto il gene che mi fa grande”. Nessuno è tanto elevato da coglierne la presenza.

Alzati, Superuomo, leva il calice. Brindiamo al dolore, alla vetta scalata: «Infine non si vive se non se stessi». Il martire, un novello Socrate, mentre beve d’un sorso la bevanda del dolore.

E tutto è blu. Tutto è blu. Rieccolo, solo. Kind Of Blue. Tu che sei semplice, nullità: ringrazia.

Lo spettacolo è andato in scena:
Tenuta dello Scompiglio (SPE – Spazio Performatico ed Espositivo)
Vorno (Lucca)
sabato 16 novembre, ore 19.00 e ore 21.00 – domenica 17 novembre, ore 19.00
repliche: sabato 23 e domenica 24 novembre

Kind of Blue
ideazione, regia e scene Cecilia Bertoni
musiche, suoni e rumori Carl G. Beukman
con Mauro Carulli (nel ruolo del Superuomo)
nel film Cecilia Bertoni, Carl Beukman, Marco di Campli San Vito, Marialucia Carones, Serge Cartellier, Serena Gatti,Claire Guerrier, Piero Leccese, Mees, Luigi Petrolini, e con Andrea, Cipriano, Deniel, Derox, Fausto, Francesco, Paolo e Didi & Gogo
testi Cecilia Bertoni, Mauro Carulli e i performer, Friedrich Nietzsche, (Il Viandante), da Così Parlò Zarathustra
costume Rosanna Monti
tecnica Paolo Morelli, Associazione BAM
costruzione scene Cipriano Menchini, Paolo Morelli
realizzazione cortometraggi riprese Mauro Carulli
montaggio Mauro Carulli, Cecilia Bertoni
riprese IPOD Cecilia Bertoni, Serge Cartellier, Claire Guerrier, Mees
realizzazione Film in Green Screen: riprese, montaggio e tecnica di Associazione BAM, Paolo Morelli, Luca Telleschi
una produzione Associazione Culturale Dello Scompiglio
anno di produzione 2011-2013