Detto e non pensato

Al Teatro Libero, Kvetch, una divertente commedia in cui pensieri e parole divergono.

Parole dette e pensieri non sempre coincidono. E Kvetch lo dimostra ottimamente. La forza dello spettacolo consiste proprio nel portare a galla i pensieri nascosti nella mente delle persone durante i colloqui con la moglie, la suocera, il collega eccetera e scoprire come, dietro l’apparenza e l’ipocrisia delle buone maniere, si nasconda un mondo di rabbia, invidia, speranze e timori. Soprattutto timori. Tanto è vero che la pièce inizia con gli attori che, disposti in diversi punti della sala e vestiti in nero, elencano una serie di paure – il cancro, la disoccupazione, le bollette, le donne – e, ritrovatisi al centro del palco, annunciano: «Questa commedia è dedicata a chi ha paura». E, infatti, durante lo spettacolo gran parte dei pensieri e delle fantasie dei protagonisti si fonda proprio sulle insicurezze e i timori di ognuno di noi, chiaramente esagerate ed esasperate.

La tecnica utilizzata per mostrare questa distanza tra detto e pensato è originale, divertente e messa in pratica in maniera ottimale dagli attori: la situazione si blocca completamente – come se fosse messa in pausa – e comincia ad agire sulla scena solo un personaggio che ci illustra ciò che passa nella sua mente; torna quindi nella posizione di partenza e i dialoghi ricominciano nel punto esatto in cui si erano interrotti. Capita così che nella fantasie dei diversi caratteri ci sia spazio per insulti, scorrettezze, addirittura per altri personaggi che si inseriscono nelle altrui fantasie.

I protagonisti – marito e moglie stanchi della loro vita matrimoniale, una suocera ingombrante, un collega lasciato dalla moglie e in crisi depressiva e un uomo d’affari alla ricerca di avventure – risultano, nelle loro frustrazioni, assolutamente comici, a partire dagli indumenti di scena: giacche e gilet dai colori improbabili, una cravatta inguardabile, un papillon imbarazzante. La scena non è meno curiosa: un cilindro (quasi da prestigiatore) che si trasforma in un tavolo di un ristorante e dal quale escono un cameriere, una lavatrice, un gabinetto che si illumina di verde. È quest’ultimo, forse, il luogo per eccellenza dove i personaggi sfogano le loro ansie quotidiane prendendo il bicarbonato per il mal di stomaco, espletando i propri bisogni fisiologici, fumando o vomitando.

Dopo una lunga serie di divertenti sconfitte e repressioni, una serie di colpi di scena conduce velocemente verso un nuovo equilibrio, in cui finalmente pensieri e parole coincidono e non serve più nascondere i propri dubbi. «Niente più kvetch» si promettono i personaggi: niente più piagnistei – è questo, infatti, il significato del termine – nessun’ansia o ipocrisia. Tutto cambi perché nulla cambi? Dopo pochi istanti, tutto ricomincia come prima a dimostrazione del fatto che i pensieri non si possono controllare né tanto meno bloccare e che l’uomo, per sua natura, difficilmente riesce a trovare la pace e un giusto equilibrio con se stesso e con i suoi simili, rimanendo in un costante e profondo stato di agitazione e insoddisfazione.

Ma nell’ora e mezzo di spettacolo non c’è spazio per drammi, tragedie o “piagnistei”, appunto. Si ride, e molto, e solo nel finale si capisce che quelle risate nascono dai piccoli drammi, dalle insicurezze e dalle ansie che albergano in ognuno di noi. E c’è ben poco da ridere.

Originale, brioso, spassoso. Detto e pensato.

Lo spettacolo continua:
Teatro Libero
via Savona, 10 – Milano
fino a martedì 5 aprile
orari: da lunedì a sabato ore 21.00, domenica ore 16.00

Accademia dei Folli presenta:
Kvetch
di Steven Berkoff
regia di Carlo Roncaglia
con Lorenzo Bartoli, Luca Di Prospero, Enrico Dusio, Francesca Porrini e Carlo Roncaglia