Tragedia di uno, cecità collettiva

Ritorna a Venezia lo storico allestimento della Compagnia del Lemming di Rovigo, in cui lo spettatore, solo – nei panni di Edipo – riconosce finalmente le trame più insidiose della natura umana.

È difficile re-censire uno spettacolo come L’Edipo dei Mille e i motivi sono tanti. Prima di tutto non è uno spettacolo teatrale comunemente inteso, con attori che recitano e spettatori che guardano. Non c’è la platea con la gente che mormora prima dello spettacolo e durante l’intervallo. Mancano tutte le convenzioni sociali di cui ridondano i teatri, solitamente sempre pieni quando si tratta di una tragedia classica. Di prettamente teatrale, quindi, c’è solo il testo da cui la performance è tratta, l’Edipo Re di Sofocle, un classico intramontabile ma su cui, come ci dimostrano quelli del Lemming, si può ancora lavorare tanto.

Massimo Munaro fonda la Compagnia del Lemming nel 1987 e, sin dai primi anni, caratteristica della loro drammaturgia è un lavoro molto ricercato sul rapporto tra spettatore e personaggio e tra palcoscenico e platea. Quest’ultima viene svuotata a favore del singolo spettatore, coinvolto in un’ esperienza unica nel suo genere, volta a intensificare la sua percezione sensoriale. Su questa linea viaggia la Tetralogia dello spettatore – comprendente classici come Dioniso, Odisseo, Amore e Psiche, e l’Edipo re – quest’ultimo riproposto dopo quindici anni dal suo debutto grazie a un progetto che ha coinvolto trenta giovani attori, divisi in gruppi da sei, in un’attività laboratoriale molto intensa e che li ha portati a riproporre l’Edipo in cinque postazioni diverse tra Venezia e Mestre. Alla base di questo progetto, la volontà di non far cadere il lavoro nel dimenticatoio a cui inevitabilmente tende ogni opera teatrale, consegnando il testimone ai giovani attori, educati e guidati dallo stesso Munaro, colui che questo spettacolo ha creato e proposto per primo.

Ed ecco che ci si ritrova in 500 a vestire in prima persona i panni del re di Tebe, bendati e a piedi scalzi. Ad accompagnare lo spettatore nelle vicende del personaggio sofocleo, Antigone – che, nella tragedia, non abbandona mai il padre alla sua cecità. Dello spettatore vengono coinvolti tutti gli altri sensi, soprattutto il tatto e l’olfatto, in un vortice di voci, suoni, richiami, profumi, respiri, abbracci che lo avvolgono e lo inquietano, lo rassicurano, lo spaventano e lo accompagnano a confrontarsi con tabù della vita che mai affronterebbe. Esempi sono: l’uccisione del padre – in cui lo spettatore è guidato dalla mano di un’attrice ad affondare un coltello in un sacco, come fosse costretto da una forza inconscia – o l’incesto con la madre – quando è costretto a stendersi su un talamo, avvolto dagli abbracci e dalle carezze violente di mani sconosciute. Lo spettatore non è in grado di resistere: privato della propria capacità di azione a causa della benda sugli occhi, non può che affidarsi “ciecamente” alle mani degli attori – simili a quei manipolatori che, nella vita reale, ci circondano e che noi lasciamo agire liberamente, ai quali – anzi – non ci sottraiamo – e spaventa, a proposito, l’insistenza della voce che ripete di chi sono le mani che ci guidano, e di chi gli occhi attraverso i quali osserviamo. Non è solo un viaggio all’interno di noi stessi, una spinta a guardare nella profondità della nostra mente, è altresì un pretesto per riflettere sulla reale cecità quotidiana dell’uomo, privato del “fare” e dell’“agire” e che ha messo a tacere le voci della propria coscienza. In questo risiede il valore della scelta del testo: Edipo, scoprendo la verità, ha dovuto affrontare queste voci e allora anche noi uomini dobbiamo farlo, dobbiamo essere in grado di affrontare la nostra immagine allo specchio, unico momento della performance in cui lo spettatore viene sbendato e lasciato solo, con la luce fioca di una candela a illuminare la stanza. Siamo tutti invitati a metterci a nudo davanti a noi stessi, a privarci della maschera che ci rende sconosciuti persino al nostro io. La sensazione è, inevitabilmente, quella di un salto nel vuoto e della presa di coscienza della vicinanza a Edipo. Come lui, anche noi dobbiamo affrontare le nostre verità nascoste.

Sicuramente uno spettacolo coraggioso, che lancia una grande sfida al teatro italiano – nel 150° dell’unità del nostro Paese: riempire i teatri, svuotandoli dei suoi spettatori, in un periodo in cui poche novità ci spingono a frequentare i teatri e in cui la comunicazione è rivolta alla massa, eterogenea e indifferenziata, e mai all’individuo – nella singolarità di un’esperienza e di una sensibilità propria. L’Edipo dei mille, come la spedizione dei giovani che lottarono per la nostra unità, a dimostrazione che pochi individui possono fare tanto: pochi attori per un teatro che si rivolge agli uomini, uniti nell’affrontare gli stessi tabù, alla riscoperta della natura più intima che la società totalizzante e la comunicazione di massa ci fanno spesso dimenticare.

Lo spettacolo è andato in scena:
Magazzino Gardini sede del Bucintoro, via Dorsoduro 263 – Venezia
Sala del Camino, via Giudecca 621 – Venezia
Teatro G. Poli di Santa Marta, via Dorsoduro 2137 – Venezia
Torre Civica, Piazza Erminio Ferretto – Mestre
Teatro Momo, via Dante Alighieri – Mestre
da mercoledì 27 a sabato 30 aprile e da martedì 3 a domenica 8 maggio
orari: dalle ore 16.00 alle 21.45.
(giovedì 12 maggio, ore 18.00: incontro con gli attori coinvolti nel progetto dal titolo Conversazioni sceniche su EDIPO, presso il Teatro Momo di Mestre)

L’Edipo dei mille – tragedia dei sensi per spettatore solo
Da Edipo Re di Sofocle
regia e musiche di Massimo Munaro
con gli allievi Cristina Barbiero, Marinella Selvaggio, Maria Mendoza, Anna Valerio, Patrizia Treppo, Giulio Alarico Boato, guidati dall’attore Mario Prevato
Un progetto di: Teatro del Lemming, Fondazione Venezia/ euterpe Venezia/ Giovani a teatro, Comune di Venezia – Settore attività culturali e spettacolo, Università Ca’ Foscari.