Il Carcano di Milano ospita la compagnia Mauri-Sturno in un godibilissimo adattamento di Sleuth, la commedia di Anthony Shaffer portata con successo anche sul grande schermo.

Commedia? Sicuramente sì – nel primo atto. Tragedia? Decisamente sì – nel secondo.

Il testo di Anthony Shaffer ha una ricchezza di temi e tesi che lo portano a essere insieme gioco di travestimenti e di inganni; arena circense (grazie a uno splendido Roberto Sturno nei panni di un clown tanto divertente quanto inquietante); tragedia della vecchiaia (Glauco Mauri restituisce con convinzione il dramma dell’impotenza proprio della senilità ma, ancor più, di chi è incapace di amare l’altro aldilà della propria immagine narcisistica); e denuncia sociale (le rivendicazioni di Milo rimandano con forza a quelle di Jimmy Porter di Ricorda con rabbia, e alla generazione precedente – quella degli Angry Young Men inglesi degli anni 50).

Su una scenografia che funziona come un ingranaggio metateatrale – inquietante e volutamente pacchiana –  si snoda una trama ricca di colpi di scena: a molti nota, anche grazie ai film firmati da Joseph Mankievicz, nel ’72, e da Kenneth Branagh, nel 2007; ma per chi non ne sapesse nulla, essendo gioco di inganni – prima ancora che thriller – sarebbe alquanto inopportuno svelarla. Diciamo solo che, nel primo atto, il pubblico è coinvolto in una farsa tragica – dove il riso si mescola con una sensazione di angoscia profonda – incapace di scegliere da che parte stare perché Andrew Wyke (Glauco Mauri) ha il fascino dell’istrione e del vincente (lui che appartiene alla classe agiata e ha avuto tutto dalla vita: successo, soldi e divertimenti), ma anche del dandy raffinato in grado di allietare l’insulsaggine dell’esistenza comune con giochi brillanti; mentre Milo Tindle (Roberto Sturno) ha l’inadeguatezza nervosa del proletario, ma anche la potenza erotica del maschio ancora giovane e sessualmente attivo (perdente a livello sociale ma vincente come uomo). E così si ride, e tanto; si gode del gioco e della clownerie; ci si lascia intrappolare nel meccanismo, insieme gioioso e perverso; cullati dalle musiche puntuali, degno accompagnamento di quel dramma che Wyke dirige come regista despota e, insieme, fascinoso affabulatore. Si chiude il sipario con il coup de théâtre e, quando si riapre, la commedia si trasforma in tragedia.

Il ricco sottotesto vibra di pulsioni quanto mai attuali. La voglia di rivalsa di Milo, che ha frequentato una scuola pubblica, nei confronti dei privilegiati di Oxbridge diventa tema dominante (e proprio ieri gli studenti inglesi hanno dato l’assalto alla sede del Partito Conservatore che vuole aumentare le tasse universitarie, dopo essere stato eletto promettendo di garantire l’accesso all’istruzione superiore a tutti). Mentre la rivalità sessuale tra l’uomo giovane e il vegliardo sembra specchiarsi nei tristi fatti del belpaese, dove la virilità, da argomento da pochade, è ormai assurta a caso politico. Il vincente (Andrew) è, insieme, vittima di se stesso: fa tenerezza il suo bisogno dell’altro e di esorcizzare con il gioco, anche il più crudele, l’abisso di noia e vuoto nel quale sta affondando; mentre il perdente (Milo) ha l’arroganza e la forza della gioventù che può fregarsene – nel senso più autentico del termine – dei bisogni e della compagnia di un vecchio – e persino dei suoi soldi.

Il gioco-spettacolo (to play in inglese è insieme recitare e giocare) si fa serrato, i colpi di scena si susseguono a un ritmo sempre più incalzante, la difficoltà per lo spettatore di prendere le parti dell’uno o dell’altro diventa impossibilità pratica di adattare le proprie emozioni a quanto sta accadendo. Vittima e carnefice si scambiano il ruolo di regista e noi ci sentiamo, di volta in volta, complici vincenti o perdenti nati.

Il colpo di scena finale è solo l’ultima toccata di un’esecuzione perfetta: ci sarà, naturalmente, chi rivendica la vittoria ma, come in tutte le vittorie umane, è l’amara considerazione finale quella che resta in bocca perché il nocciolo non è chi prende il sopravvento – basta guardare alla distruzione e allo spreco di vite umane di ogni battaglia, dall’Iraq all’Afghanistan – ma a quale assurdo, tragico gioco abbiamo deciso di partecipare.

Lo spettacolo continua:
Teatro Carcano

corso di Porta Romana 65 – Milano
fino a domenica 21 novembre
orari: da martedì a sabato ore 20.30 – domenica ore 15.30
(durata 1 ora e 55 minuti + intervallo)

Compagnia Glauco Mauri Roberto Sturno presenta:
L’inganno (Sleuth)

di Anthony Shaffer
regia di Glauco Mauri
scene di Giuliano Spinelli
costumi di Simona Morresi
musiche di Germano Mazzocchetti
con Glauco Mauri e Roberto Sturno