Esilaranti riflessioni autoironiche dal pianeta omosessuale: al Teatro Libero, per la rassegna Liberi Amori Possibili, i grandi temi si affrontano in commedia.

Curioso guardarsi intorno, in sala, e scoprirsi in minoranza. Non tanto in quanto etero, ma in quanto donna: per una volta la percentuale di uomini presenti nel teatro supera di gran lunga quella delle rappresentanti dell’altro sesso. Per un attimo, prima che le luci si spengano, la domanda nasce, ingenua e impertinente: ma dove si nascondono, di solito, tutti questi uomini amanti del teatro?

La luce cala, lo spettacolo inizia, la domanda viene accantonata e poi dimenticata, sotto la raffica di suoni, parole, azioni, soprattutto colori; i colori delle stoffe e delle sciarpe sparse per la casa di Eva, casalinga frustrata in disperata ricerca di un amante, le tinte dei suoi gomitoli di lana, dei suoi fiori (ahimè) finti innaffiati da un annaffiatoio senza acqua, secondo una stilizzazione televisiva da sit-com anni novanta. Tanto colore che volutamente contrasta con i toni smorzati dei vestiti dei personaggi maschili che vivono il dramma della propria omosessualità rifiutata e repressa: pantaloni e camicie grigie, jeans stinti, strisce bianche e nere, una sbiadita maglietta con stampato il volto dell’icona gay Leonardo DiCaprio. Una scena accattivante, economica ma molto efficace, fissa ma vivace, anche grazie al vorticoso ritmo attoriale e alla dinamicità dei sapienti cambi di luce, capaci di far dimenticare la casa di Eva per lasciare spazio all’ipotetico set di un film porno, dove lavora l’altro personaggio femminile della commedia, una donna dell’est sveglia e senza pregiudizi.

Dopo i primi tentennamenti recitativi, la vicenda prende velocemente vita, e si dipana in una irriverente comicità dell’assurdo. Scambi di telefoni e valige, di suore e di infermiere, di parrucche e battute feroci, in una turbinante giostra che ha per perno l’omosessualità, l’innominabile malattia da cui il misogeno in bretelle, l’aspirante pornodivo e l’isterico Valentino speravano di essere guariti. Le cure di un emerito professore si rivelano inutili, non tanto perché egli non è nient’altro che un pervertito guardone a caccia di ricche donne da sposare e poi ammazzare, ma perché l’omosessualità non è una malattia, ma un naturale stato dell’essere, diffuso anche tra gli animali, come Flavio Mazzini (il regista dell’opera) fa proclamare a un finto Pi
ero Angela in una fiasulla puntata di Quark.

Tra riferimenti, allusioni e visioni sessuali, doppi sensi verbali e caricature degli stereotipi gay (come la passione per cantanti e attrici italiane ormai dimenticate, quella per la cucina e soprattutto quella al limite della mania per sanremo), passano cento minuti, senza intervallo, senza pesantezza, senza che ce ne si accorga. L’incredibilmente contagiosa comicità tipicamente omosessuale travolge la sala, la spiazzante capacità di mettersi in discussione e l’autoironia di autore, regista e attori sorprende e fa crollare tabù e pudori in una fragorosa risata corale.

Uno spettacolo sentito, partecipato. Fioccano gli applausi a sipario aperto, senza che questo condizioni la narrazione, rompa il ritmo o distragga. Sempre più i toni sfiorano il demenziale, viene detto l’impronunciabile, si osa oltre limiti che sembrava impossibile ignorare, ma senza arroganza, solo con una sana dose di sfacciataggine e disprezzo per la ristretta morale comune, come in un moderno – seppur meno geniale – Rocky Horror Show italiano.

La simpatia dei personaggi e quella spontanea dei loro interpreti non riesce purtroppo a far passare inosservati il terribile audio, i volumi irregolari, i fischi delle casse, i dialoghi coperti dalle musiche e le registrazioni inudibili, ma nonostante questo lo spettacolo scorre veloce fino alla fine, leggero, divertente, senza intoppi.

Si riaccendono le luci, si sorride, ci si guarda. E le domande ritornano, diverse. Uno spettacolo che parla, seppur in modo comico, della condizione e della considerazione di chi si dichiara gay in Italia, e la maggior parte del pubblico è, appunto, gay. Non c’è forse un po’ troppa autoreferenzialità? Possibile che ancora oggi per sentirsi accettate le coppie omosessuali debbano aspettare una rassegna teatrale che parli di loro per uscire allo scoperto e riunirsi tutte insieme nello stesso luogo? Possibile che ancora il mondo eterosessuale e quello gay siano su due pianeti distinti?

Sì, in Italia purtroppo è possibile.

Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro Libero
via Savona, 10 – Milano

L’ultimo sanremo del millennio
di Flavio Mazzini
regia di Marco Medelin
con Cristiano Cecchetti, Fabrizio Costa, Angelo Curci, Fabrizio Foligno, Silvana Rossomando, Michela Totino