Al Liceu di Barcellona, va in scena La Bohème in un allestimento credibilmente contemporeaneo firmato da Àlex Ollé.
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Il “tempo” è quello agrodolce della vigilia di Natale, il “luogo” quello di Parigi. I protagonisti sono un gruppo di giovani aspiranti artisti, in particolare Rodolfo e Marcello, e le loro compagne, Lucia, chiamata Mimì, e Musetta.
Dunque, se il contesto all’interno del quale tutto si svolge è quello di una quotidianità povera, ma ricca di spirito, il vero cuore pulsante dell’opera di Puccini è il dualismo tragico e radicale, che si consuma tra sogno e realtà, ambizione ed esistenza, sentimento e ragione.
Su questo conflitto si esercita, nella visione del pur borghese Puccini, una amara verità: nel campo della vita non esistono possibilità alternative. Al di là della cruda realtà delle cose ciò che esiste è solo l’illusione, come quella di chi pensa di poter vivere una vita bohémien, pretende di fare a meno di ogni regola sociale e anela a una perenne giovinezza per potersi dedicare “senza scopo” all’arte.
Se il primo atto è la descrizione del fascino di questo sogno rappresentato da quattro ragazzi spensierati e divertiti, il secondo è la sua apoteosi, con le vicende del Quartiere Latino alla vigilia di Natale, con le sue strade che – pur nell’estrema povertà – si riempiono di brio e vitalità, con la goliardia del café Momus e l’amore che sembra l’anticamera di una felicità a portata di mano.
In un periodo in cui, pochi decenni prima, Giovanni Verga aveva pubblicato i primi capolavori del suo Ciclo dei Vinti, Puccini intuì il dissidio interno al tardo romanticismo ottocentesco e svelò, con La Bohème, l’esistenza del lato oscuro del più totale pessimismo accanto alla sua dimensione sfacciatamente lirica e ribelle. Questa ambivalenza è determinata dalla difficile definizione del quattro amici: si trattava di geni incompresi, di vittime del conformismo o di inutili perdigiorno? Puccini lascia al pubblico la scelta, ma ciò che risulta incontrovertibile è la ricerca della libertà/felicità quando sconfina dal “senso comune” non può che condurre a un tragico destino. Ed è proprio Mimì, con la sua purezza e ingenuità e con la sua straziante morte, a rappresentare il naufragio di ogni irrealistico ideale romantico.
La tragedia cova nel corpo di Mimì ed è completamente inutile che gli amici la circondino d’affetto e premure. La sua fine è segnata e con Mimì muore un sogno, se non proprio un intero mondo con le sue speranze e le sue aspettative. Che sia quello della giovinezza, dell’arte o dell’emancipazione di genere (sorprende come il potenziale “femminista” de La Bohème continui a essere sottovalutato), non importa, il bene soccombe al male, l’amore non apre le porte del paradiso, ma è anzi la strada lastricata d’oro per l’inferno.
Àlex Ollé trasporta La Bohème ai giorni nostri riuscendo a mantere l’atmosfera d’origine nonostante l’introduzione di un significativo elemento di innovazione nella scenografia e nell’ambientazione. L’allestimento rompe l’equilibrio con l’immaginario reso “canonico” dalla regia di Franco Zeffirelli del 1963 e decide di collocarsi nettamente in un mondo in cui la soffitta diventa lo squallido appartamento in un degradato complesso residenziale di condomini “multipli” splendidamente ricostruiti attraverso dei ponteggi e la prospettiva. Il poeta e il pittore sono così un blogger e un writer, i riferimenti iconografici diventano dunque le Unité d’Habitation e Banksy.
Altamente spettacolare il momento in cui l’appartamento si alza e crea lo spazio in cui si materializzano la piazza con i suoi venditori ambulanti, i suonatori e il Momus Café, mentre controverso risulta il giudizio sul comparto canoro, in particolare per quanto riguarda Giorgio Berrugi. Adeguato nel timbro, il suo Rodolfo lo è stato meno nel farsi spesso sovrastare dall’orchestra, nonostante la direzione di Giampaolo Bisanti sia apparsa precisa nel sorreggere e valorizzare un canto che speriamo possa essere più vigoroso nelle successive repliche.
Se sono risultate complessivamente positive le altre parti maschili di Josep-Ramon Olivé (nonostante la stucchevole vestizione punk del suo Schaunard) e di Federico de Michelis (bene nella romanza del Quarto Atto, Vecchia zimarra, senti), particolarmente convincenti sono state Katerina Tretyakova, un’ottima Musetta dalla voce suadente con il proprio uomo e solidale con l’amica, e una Maria Teresa Leva particolarmente a proprio agio come Mimì, un ruolo più volte interpretato e che ormai sente suo.
Dal punto di vista delle performance attoriali, impeccabili tutte le interpretazioni, finalmente liberate dal solito convenzionalismo nella prossemica e nelle voci e così capaci di far assumere ai diversi personaggi una credibile presenza rispetto ai momenti scenici di gioia e, soprattutto, di tragedia.
Una Bohème, dunque, che al netto di alcune incertezze nella gestione del canto, è apparsa essere non solo in grado di muovere i suoi personaggi e di commuovere il pubblico, quanto soprattutto di riuscire a farlo con un allestimento finalmente di credibile passione.
En el Liceu de Barcelona, se pone en escena La Bohème en un montaje creíblemente contemporáneo firmado por Àlex Ollé.
El “tiempo” es el agridulce de la víspera de Navidad, el “lugar” el de París. Los protagonistas son un grupo de jóvenes aspirantes artistas, en particular Rodolfo y Marcello, y sus mujeres, Lucia, llamada Mimì, y Musetta.
Entonces, si el contexto en el que todo se desarrolla es el de una cotidianidad pobre, pero rica en espíritu, el verdadero corazón palpitante de la obra de Puccini es el dualismo trágico y radical, que se consuma entre sueño y realidad, ambición y existencia, sentimiento y razón.
En este conflicto actúa, en la visión del aunque burgués Puccini, una amarga verdad, es decir que en el campo de la vida no existen posibilidades alternativas. Más allá de esa cruda realidad de las cosas lo que existe es sólo la ilusión, como la de quien piensa que se puede vivir una vida bohémien, pretende prescindir de todas las reglas y anhela una perenne juventud para dedicarse a l’art pour l’art.
Si el primer acto es la descripción del encanto de este sueño (representado por cuatro muchachos despreocupados y divertidos), el segundo es su apoteosis, con las vicisitudes del Barrio Latino en vísperas de Navidad, con sus calles que – a pesar de la extrema pobreza – se llenan de emoción y vitalidad, con la gollardías en el café Momus y el amor que parece la antecámara de una felicidad al alcance de la mano.
En un momento en el que, pocas décadas antes, Giovanni Verga ya había publicado las primeras obras maestras de su Ciclo dei Vinti, Puccini intuyó la disputa dentro del romanticismo tardío del Siglo XIX revelando, precisamente con La Bohème, la existencia del lado oscuro de un pesimismo absoluto conjunto alrededor con su propia dimensión descaradamente lírica y rebelde. Esta ambivalencia está determinada por la difícil definición de los cuatro amigos: ¿se trataba de genes incomprendidos, de víctimas del conformismo o de inútiles holgazanes? Puccini deja al público la elección, pero lo que es incontrovertible es la búsqueda de la libertad/felicidad cuando llega más allá del “sentido común”, sólo puede conducir a un trágico destino. Y es precisamente Mimí, con su pureza e ingenuidad y con su desgarradora muerte, quien representa el naufragio de los irreales ideales románticos.
La tragedia “incuba” en el cuerpo de Mimí y es completamente inútil que los amigos la rodeen de afecto y solicitud. Su fin está marcado y con Mimí muere un sueño, si no un mundo entero con sus esperanzas y expectativas. Ya que sea el de la juventud, del arte o de la emancipación de género (sorprende cómo el potencial “feminista” de La Bohème sigue siendo subestimado), no importa, porque el bien siempre sucumbe al mal, el amor no abre las puertas del paraíso, al contrario es el camino pavimentado de oro que nos trae al infierno.
Àlex Ollé transporta La Bohème en la actualidad, manteniendo la atmósfera de origen a pesar de la introducción de un importante elemento de innovación en la escenografía y la ambientación. El montaje rompe el equilibrio con el imaginario convertido en “modelo” por la dirección de Franco Zeffirelli de 1963 y decide colocarse claramente en un mundo en el que la pobre buhardilla se convierte en el sórdido piso en un degradado complejo residencial de condominios “múltiples” maravillosamente reconstruido a través de andamios y gracias a la perspectiva. El poeta y el pintor se convierten en este sentido en un blogger y un escritor, las referencias iconográficas en las Unidades de Habitation y Banksy.
Sumamente espectacular el momento en que el apartamento se levanta y crea el espacio para materializar la plaza con sus halconeros, los músicos y el Momus Café, mientras que controvertido se queda el juicio sobre el “sector” del canto, en particular por lo que se refiere a Giorgio Berrugi. Apropiado en el timbre, su Rodolfo parece serlo menos en dejarse ahogar a menudo por la orquesta, a pesar de que la dirección de Giampaolo Bisanti resulta precisa para apoyar y valorizar un canto que esperamos se convierta en más vigoroso para las próximas actuaciones.
Si han resultado en general positivas las otras partes masculinas de Josep-Ramon Olivé (a pesar del aspecto punk de su Schaunard suena cursi) y de Federico de Michelis (bien en la aria del Cuarto Acto, Vecchia zimarra, senti), muy convincentes fueron Katerina Tretyakova, una excelente Musetta con voz persuasiva con el propio hombre y solidaria con su amiga, y una María Teresa Leva particularmente a gusto como Mimì, un papel varias veces interpretado y que ya siente suyo.
Cómo performance, impecables todas las interpretaciones, finalmente liberadas del convencionalismo en la proxémica y en las voces y entonces capaces de entregar a los distontos personajes una creíble presencia con relación a los momentos escénicos de alegría y, sobre todo, de tragedia.
Una Bohème, por lo tanto, que a pesar de algunas dudas en la gestión del canto, parece capaz no sólo de mover sus personajes y de conmover al auditorio, sino sobre todo de lograrlo con un montaje finalmente de creíble pasión.
Liceu Opera Barcelona
La Rambla 51-59, Barcelona
funciones 14, 15, 16, 17 18, 19, 20, 21, 22, 25, 26, 27, 28, 29, 30 juny; 1, 2 juliol 2021
La Bohème
llibret de Giuseppe Giacosa i Luigi Illica
basat en Scènes de la vie de bohème d’Henri Murger
Fitxa artística
direcció musical Giampaolo Bisanti
direcció d’escena Àlex Ollé
directora associada Susana Gómez
escenografia Alfons Flores
vestuari Lluc Castells
ol·luminació Urs Schönebaum
producció Teatro Regio Torino
orquestra Simfònica i Cor del Gran Teatre del Liceu
direcció del Cor Conxita Garcia
cor de Cambra del Palau de la Música Catalana
direcció del Cor Xavier Puig
veus – Cor infantil Amics de la Unió
direcció del cor infantil Josep Vila Jover
Repartiment
Rodolfo, Giorgio Berrugi
Schaunard, Josep-Ramon Olivé
Benoît / Alcindoro, Roberto Accurso
Mimì, Maria Teresa Leva
Marcello, Damián del Castillo
Colline, Federico de Michelis
Musetta, Katerina Tretyakova
durada total aproximada 2h 25m
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