Vizi e virtù dell’Italia prima dell’Italia

teatro-arvalia-roma-80x80Al Teatro Arvalia, fino al 22 maggio, è in scena l’opera di Goldoni La bottega del caffè, documento irresistibile di un’epoca solo apparentemente lontana.

Quando Goldoni realizzò e portò in scena La bottega del caffè, riscuotendo un immediato successo e consacrando quest’opera come un classico imprescindibile tanto della commedia dell’arte italiana quanto della tradizione teatrale europea, l’Italia ancora non esisteva; o meglio, da una prospettiva politica e istituzionale, era un’idea vaga e lontana ancora rigidamente subordinata alle ingerenze dei grandi imperi del continente. L’immaturità dell’idea di Italia però, a ben vedere, verteva esclusivamente sul piano ufficiale e appunto politico, perché l’Italia e gli italiani esistevano già in quanto identità culturale, civile e soprattutto sociale. Per questo va rivista un po’ la battuta celebre di D’Azeglio pronunciata all’indomani della fondazione del Regno d’Italia: «fatto l’Italia, ora bisogna fare gli italiani» e, soprattutto, sarebbe lecito respingere le polemiche da parte di chi ritiene che la nascita di uno Stato unitario italiano sia stata unicamente una manovra di imposizione monarchica che prescindeva da una reale condizione nei fatti, come se (a dir loro) fosse completamente assente un corrispettivo nel sentire dei popoli dei vari ducati e repubbliche di tale progetto. La grandezza delle opere immortali, come in maniera esemplare quella di Goldoni, serve ancora oggi a dimostrazione di come non sia tanto necessaria la sociologia per interpretare le opere d’arte, quanto che la forza di queste opere stia nel fatto che loro stesse possano documentarci e testimoniare qualcosa dei rapporti sociali e dell’immaginario dell’epoca e del luogo in cui sono state composte.
Nel 1750 la Repubblica della Serenissima governava Venezia, godendo dei fasti e delle ricchezze dovute al commercio e all’ascesa di quella classe borghese che proprio a metà Settecento poneva le basi della decadenza dell’aristocrazia e della nobiltà; per queste ragioni, Venezia era anche il luogo di transito di migliaia di cittadini provenienti da nazioni lontane, ma anche dai vicini stati italici: dalla Napoli borbonica, per esempio, o dal Piemonte savoiardo o dal Granducato di Toscana dei Lorena. Non è un caso che proprio Goldoni scrisse quest’opera non in veneziano ma in toscano, rappresentata per la prima volta a Mantova: la storia dell’opera riflette le vicende raccontate al suo interno, che sono un’avvincente espressione della poliedrica essenza della penisola italiana nel XVIII secolo, una spigolosa ma al contempo compatta molteplicità di tradizioni e usi che vorticando si ritrovano intorno a un tavolino di un caffè.
Lodevole la scelta del Teatro Arvalia di portare in scena il capolavoro di Goldoni, in maniera spontanea e genuina, che ben si conforma con lo stile ironico e beffardo dello scrittore veneziano; una scenografia statica, dei costumi scolastici e una recitazione che ammicca alla nobile tradizione degli spettacoli di piazza della provincia italiana, mettono, però, in evidenza la sorprendente continuità tra quell’epoca e la nostra, pensando a come in mezzo ci sia stato il Risorgimento. La bottega, avo del moderno bar, è il centro attorno al quale gravitano tutti i vizi e le virtù del popolo italiano prima ancora dell’esistenza dell’Italia: la smania del gioco d’azzardo, la meschinità degli usurai, i pettegolezzi sulle abitudini delle giovani signore, ma allo stesso tempo i gesti di autentica generosità degli amici, i sentimenti di affetto e di amore tra moglie e marito, le scenate di gelosia e il gusto di condividere il banchetto. Questo, ma non solo: c’è tutto il miasma di contraddizioni irrisolvibili che formano l’italianità, che fanno ridere e riflettere perché sulla scena goldoniana siamo ancora noi i protagonisti, con tutti i nostri limiti e tutte quelle caratteristiche che ci distinguono in quanto popolo da tutti gli altri. Queste due dimensioni in Goldoni passano sempre attraverso il filtro della lezione morale, quasi con la coscienza della necessità che a quel popolo avvenire fosse necessario un sostrato etico su cui poggiarsi che solo l’arte è in grado di offrirgli; ma al di là della messa alla berlina delle viltà proprie non solo dell’Ancien régime ma anche di quella borghesia smaniosa di ricchezze, goffa e persino immorale, ciò che diventa evidente è che vizi e virtù sono sempre due facce della stessa medaglia.

Lo spettacolo continua:
Teatro Arvalia
Via Quirino Majorana 139 – Roma
dal 12 al 22 maggio
orari: dal Giovedì al Sabato ore 20,30, la Domenica ore 18,00

Teatro da viaggio presenta
La bottega del caffè
di Carlo Goldoni
regia Massimiliano Milesi
costumi Antonietta Corrado
movimenti Carla Aversa
con Carla Aversa, Gianpiero Cricchio, Angelo Moriconi, Mauro Manni, Guglielmo Carabba