La Buona Educazione, ultimo spettacolo della Trilogia della fine del mondo della Piccola Compagnia Dammacco, dopo il debutto nel 2018 nelle rassegne Primavera dei Teatri e al Festival delle Colline Torinesi, in scena al Teatro India per Teatri di Vetro.

Protagonista di questo monologo, diretto da Mariano Dammacco e interpretato dal Premio Ubu Under 35 Serena Balivo, è una donna matura, o almeno che crede di esserlo, che si trova, dopo una vita dedicata a se stessa e alla sua preziosa casa, ad avere tra i piedi un bambino dell’ultima generazione, suo nipote. Figlio della sorella, morta improvvisamente e con cui non aveva poi così buoni rapporti, il piccolo uomo (così soprannominato dalla zia), inizia a invadere quelli che sono sempre stati gli spazi vitali di una persona sola a cui piace stare sola. Eppure, questa solitudine è apparente dal momento che ci sono degli ospiti a tratti inquietanti e a tratti divertenti a farle visita: fantasmi dei genitori e della sorella la rimproverano di vivere da sola e per come sta educando il nipote.

In un continuo susseguirsi di momenti fortemente ironici sul rapporto tra la donna e la società, tra la donna e il nipote e tra la donna e la propria vita, emerge una drammaturgia attenta al dettaglio del racconto e delle parole. Una drammaturgia che ci parla per immagini, immagini che ricordano una favola ma contemporaneamente riportano, con una sorta di malinconia per il passato mista a un grottesco dirompente, alla freddezza della società contemporanea, dei rapporti digitali, dei like sui social, delle nuove tendenze che vengono gonfiate dal web, dei bambini e dei ragazzi, che come il nipote, non sanno parlare con frasi compiute. E ancora, società fatta da genitori che viziano i propri figli con la tecnologia e che si danno man forte fanno gruppo su WhatsApp boicottando gli insegnanti e chi, come nel caso della nostra zia-donna, punta a un’educazione più metodica (pur non riuscendoci, in realtà), o chi semplicemente è diverso.
Ma come sono questi rapporti? Sono davvero intimi? Veri? Si può parlare di un’autenticità della vita o l’essere umano è sempre più preda dei nuovi stili di vita imposti dalla società del web, e non si ritrova in un labirinto di falsità e falso interessamento? Questo sembra essere il sottotesto; uno dei sottotesti, perché lo spettacolo è pieno di stimoli che lo spettatore potrà poi sviluppare come crede.
La vita condotta dalla donna zia è sbagliata, solitaria, passata da sola davanti alla televisione (media di vecchia generazione) in una casa buia e piena di vecchi aggeggi, soprammobili e mobili old fashion. Tuttavia è una vita forse più sincera, più intima e pura rispetto a quelle dei concittadini, dei coetanei, dei genitori degli amici del nipote. La sua è una vita in cui i ricordi hanno ancora un valore unico, in cui il passato e il presente si fondono con l’apparizione dei fantasmi, in cui la mente è sgombra dalla comunicazione virale che ormai accompagna perennemente.

La donna è onesta, è vera e incontaminata dal nuovo modo di vivere, è parte, ormai, di un mondo favolistico che non tornerà più.
Se i fantasmi sono evocazioni, pian piano ci rendiamo conto che forse anche il nipote stesso e tutte le storie su di lui e sul loro rapporto potrebbero essere finzione. Se non che, il piccolo uomo, finto o vero che sia, sembra davvero cambiare la vita della zia, che diventa sempre più attenta alle sue necessità e che sempre di più si priva dei propri bisogni in favore di un nipote per cui prova un amore profondo e per cui piangerà quando le verrà detto (sempre dai fantasmi) che non vuole più stare con lei: la ritiene folle, ha chiamato più volte il telefono azzurro e presto sarà affidato a un’altra famiglia.

Ciò che ci colpisce di La buona educazione è sicuramente la bravura di Serena Balivo in un monologo di un’ora e mezza circa, attenta a ogni minimo dettaglio, sia dal punto di vista interpretativo, sia di partitura corporea. Ogni movimento, ogni gesto, ogni microazione (movimento dei piedi, camminata, mani, dita, testa) segue il suo obiettivo ed è al suo posto, dettagliata, precisamente inserita in un contesto più amplio di macro azioni (alzarsi, sedersi, prendere una cornice illuminata, spegnere tutti gli elettrodomestici della casa…).

Le stesse battute sembrano essere scandite in modo peculiare e pignolo: pur facendo parte di un flusso parlato, ogni frase, ogni parola assume un proprio significato e proprio per questo vengono affermate, arrivando con estrema pulizia e precisione.

Il disegno luci è un’altra parte fondamentale di questo spettacolo, delineando i chiaro-scuri, le ombre e i punti luce e portando in un immaginario che ricorda Vermeer.
Fondamentale è l’impianto scenico di Stella Monesi, una serie di oggetti, che come in un quadro, rimangono sullo sfondo e aiutano a entrare nell’intimità del personaggio, nella sua vita che è fondamentalmente anche la sua casa.

Riuscito, inoltre, l’utilizzo della terra vera come pavimento, un elemento che funziona perché evoca qualcosa che non sappiamo bene definire, come se i piedi della zia fossero ancora radicati alla madre terra. Come se la terra facesse ancora parte di una vita concreta e reale dell’essere umano e che solo una folle come la zia può davvero sentire, toccare, volere.

Lo spettacolo è andato in scena all’interno di Teatri di Vetro
Teatro India
Lungotevere Vittorio Gassman 1, 00146 – Roma
Sabato 15 ore 21.00

La buona educazione
di e con Mariano Dammacco e Serena Balivo
spazio scenico di Stella Monesi e Mariano Dammacco