Il Rome Chamber Music Festival torna ai grandi maestri della modernità, Brahms e Schubert, con due opere dal poderoso impatto emotivo.

La seconda giornata del Rome Chamber Music Festival del 2015 torna ai grandi classici della tradizione classica europea: i protagonisti sono due dei geni della musica da camera che hanno segnato l’arte moderna e la musica dell’Ottocento. Da un lato la terza B della musica tedesca, ovvero Johannes Brahms, il più grande erede della stagione ottocentesca e uno dei fondatori della musica del Novecento; dall’altro lato il suo predecessore Franz Schubert, capostipite della musica romantica. Rispetto al programma della prima serata, si tratta di un ritorno ai protagonisti classici che hanno accompagnato la più che decennale avventura del Festival romano, che quest’anno è dedicato al giornalista e tifoso della Roma Fulvio Stinchelli, scomparso pochi mesi fa. Di Brahms, il duetto Robert McDuffie, violinista e direttore artistico del Festival, ed Elena Matteucci al piano, ha eseguito la Sonata per violino e pianoforte n. 1 in Sol maggiore; per quanto numerata come fosse la prima sonata, si tratta di un brano che appartiene alla fase matura del compositore, anche se fortemente legata a suggestioni romantiche; l’opera è stata ribattezzata nel corso della storia Sonata della pioggia, e non a caso. Il piano infatti, soprattutto nel rondò del terzo movimento, sembra riflettere il ritmo cadenzato delle gocce di pioggia, esprimendone anche l’atmosfera struggente e malinconica. All’interno della struttura classica della sonata, i temi si amalgamano dialogando nel corso dell’opera; il suono del violino è carico di enfasi mentre il piano crea un tessuto su cui il primo si destreggia. La pioggia non è temporale, ma affresco cupo e al contempo tenero, come se le gocce dei battiti delle note del piano fossero segnali di una memoria sul punto di riemergere col suo carico di nostalgie e rimpianti. Il tono romantico è d’altronde pienamente incarnato dalla seconda opera eseguita, ovvero l’Ottetto in Fa maggiore op. 166; si tratta di un’opera postuma del genio di Schubert, un’opera tarda che spesso viene trascurata ed esclusa dalla scena concertistica, mentre rappresenta un lavoro di grande significato nel corpus dell’artista. I sei movimenti dell’Ottetto di fiati e archi sono un viaggio, che a tratti potrebbe risultare monotono e privo dell’estro caratteristico dei capolavori di Schubert; però, anche qui i colpi di genio sono evidenti: i temi si inseguono e si scambiano continuamente la parola, e soprattutto l’elemento più suggestivo è il continuo alternarsi di registro drammatico e euforico; l’apertura dell’opera infatti è la testimonianza tragica della consapevolezza della malattia di Schubert, scomparso alla tenera età di 31 anni. Come Beethoven prima di lui, però, la comprensione del suo stato non comportò né un annilichimento del suo estro creativo, né un’adozione radicale di tonalità cupe e disperate. Se il suo maestro compose L’Inno alla gioia già sordo, lui propose nell’Ottetto una sorta di tentativo di mitigare la sofferenza, di riscattare il dolore attraverso una ritmica che ricorda le danze contadine e la spensieratezza della festa. Ma spesso questo clima pacificante viene interrotto dall’espressione della coscienza tragica del proprio stato, come se quella coscienza non potesse venire completamente sopita e neutralizzata. I protagonisti dell’esecuzione di questa seconda opera sono i giovani allievi del Rome Chamber Festival, che hanno dimostrato il loro grande talento e la loro professionalità a un folto pubblico, preparandosi la strada per futuri successi.

Lo spettacolo è andato in scena: Palazzo Barberini – Salone di Pietro da Cortona via delle Quattro Fontane, 13 – Roma martedì 9 giugno, ore 20.30 Rome Chamber Music Festival presenta Sonata per violino e pianoforte n. 1 in Sol maggiore, op. 78 di Johannes Brahms Ottetto in Fa maggiore D. 803, op. post. 166 di Franz Schubert