Piazza del popolo

Tra gli spettacoli inaugurali nella sesta edizione della rassegna Teatri di Vetro, Amleto scende in piazza con il volto di Pierre Lucat.

L’esperimento di La chimica di Amleto aveva una serie di premesse di tutto rispetto. La trama dell’Amleto che continua a raccontare qualcosa sulle nostre vite oggi e sempre. La poesia di Shakespeare, inesauribile. Personaggi iconici. La geniale sperimentazione operata da Heiner Müller. La passione dell’unico interprete, Pierre Lucat, instancabile e deciso. Un proposito tanto generoso quanto intrigante, ossia coinvolgere il pubblico come parte in causa. Uno spazio per la rappresentazione più che appropriato, il cortile interno di un complesso di edifici popolari alla Garbatella. Eppure nel corso dello spettacolo, a turno, ognuno di questi elementi di pregio entra in collisione con gli altri creando una serie di dissonanze.
Cigolio di cardini.
Di base c’è il Die Hamletmaschine (La macchina di Amleto) del maestro Heiner Müller, liberamente ispirato all’opera inglese. Il dramma apparso nel 1977 si lega indissolubilmente alle vicende politiche di quel periodo. In particolare, l’autore traccia un parallelismo tra Amleto e i figli di Lazlo Rajik, ministro ungherese vittima delle purghe titoiste. Nel 1956, a seguito della riabilitazione postuma in seno al partito comunista, i figli di Rajik parteciparono a un secondo funerale celebrativo del loro potente padre ucciso ingiustamente, una situazione, secondo Müller, estremamente shakespeariana. Sebbene composta di sole otto pagine, l’opera mostra una complessità oggettiva sia nella sua concezione postmoderna e frammentaria, sia nella molteplice trattazione di tematiche universali. Perciò se da un lato i brani tratti dall’autore tedesco funzionano bene in un contesto sperimentale, il mash-up con l’altrettanto complesso testo del bardo aggiunge, come si suol dire, troppa carne al fuoco e innesta un elemento di confusione per cui diventa difficile seguire la logica, quale che sia. Siamo in una dimensione post-postmoderna e abbiamo le vertigini. Inoltre, uno dei temi portanti in Müller è proprio la mancata rappresentazione del dramma, «il copione è andato perduto».
Tradita, poi, l’intenzione programmatica di coinvolgere il pubblico. Oltre a selezionare e accogliere sulla scena un’eterea Ofelia con gli occhiali, dai lunghi capelli ondulati e movenze leggiadre, Gertrude col severo sguardo da insegnante e Claudio, granitico re con la corona e la camicia jeans, ci sono solo gli sguardi rivolti alle prime file a cui risponde un imbarazzato silenzio. Resta inespressa la voglia di partecipazione, forse goliardica, magari tendente più al divertimento e meno alla tragicità amletica, eppure la risata di una bambina del pubblico, imbarazzata dall’interazione con l’attore non dovrebbe andare sprecata, né può darsi per scontata. In un certo senso, la dimensione verace di quartiere si perde in un’eccessiva autoreferenzialità che finisce per debilitare il contrasto tra metateatro e realtà presente in entrambe le opere di riferimento.
Lucat, carismatico mattatore, mantiene un ritmo serrato in modo capace e solamente in virtù della fiducia che ispira non ci scomponiamo nell’ascoltare una versione swing di «To Be or Not To Be» o nel vedergli indossare l’immacolata veste di Ofelia dalla quale spuntano le gambe erculee e il collo robusto e abbronzato. Non che appaia ridicolo, piuttosto destabilizzante, almeno quanto il monologo finale di Ofelia/Elettra che, privato del percorso operato da Müller, risulta estemporaneo.
Il laboratorio di ricerca pensato dagli autori di La chimica di Amleto, lo stesso Lucat in collaborazione con il regista francese Renaud Lescuyer è encomiabile nelle intenzioni, ma al momento dell’esecuzione gli autori perdono il loro sguardo sul pubblico, si distraggono. Tra gli spettatori, ognuno cerca di richiamare alla mente tutte le nozioni riguardo il principe di Danimarca ma non basta, ci si perde ugualmente, non viene fornita alcuna chiave e lo spettacolo non si eleva dal piano di esperimento intellettuale ricco di pregi resi inefficaci. Se mai l’unica vera pecca sta proprio qui, nello scarso coinvolgimento emotivo che ispira, ma questo può dipendere anche dall’aria fresca di questo maggio inconsueto.

Lo spettacolo continua:
Teatri di Vetro
via Luigi Fincati, 13/Lotto 9 – Roma
fino a venerdì 25 maggio, ore 21.45
(durata 1 ora e un quarto circa senza intervallo)

CiePersona, con il sostegno di Institut Français, Région Rhône-Alpes, Ville de Lyon, Ass. Hangar-Oʼ Teatro presenta
La chimica di Amleto
di Renaud Lescuyer, Pierre Lucat
regia Renaud Lescuyer
con Pierre Lucat