Verso il Bene Comune?

La calda estate del Teatro Valle ha raggiunto il suo apice nella giornata del 31 luglio, ultimatum per liberare il teatro occupato, pena lo sgombero da parte dell’Amministrazione comunale. Una data poi rinviata al 10 agosto di comune accordo tra le parti in causa, mentre nella conferenza stampa alla Camera dei Deputati, la Fondazione dichiara di non voler gestire il teatro.

Un appello internazionale per salvare il Teatro Valle Bene Comune fa letteralmente il giro del mondo in rete e raggiunge migliaia di firme (da Rodotà e Settis a Žižek) già allo scoccare della mezzanotte.

L’appello è per la Fondazione Teatro Valle Bene Comune, esperienza italiana nata nel 2011 e rimasta sotto gli occhi dell’opinione pubblica e dei media per l’interesse suscitato in relazione alla questione che riguarda la trasformazione di un teatro destinato probabilmente alla gestione privata (ma pronto alla nuova stagione a sentire le amministrazioni pubbliche) a bene comune.
Nell’appello si legge che «dal 14 giugno 2011 la comunità di artisti e cittadini ha trasformato il Teatro Valle, il più antico e prestigioso Teatro di Roma, che rischiava di essere privatizzato, in uno dei più riusciti esperimenti di fusione tra la lotta politica e le arti teatrali e performative nel mondo attuale. Nell’interesse delle generazioni future è stato creata una nuova entità giuridica chiamata Fondazione Teatro Valle Bene Comune, che ha raccolto l’adesione di 5600 persone ed è stato un nuovo e genuino processo di collaborazione fra molti giuristi noti e l’assemblea di cittadini ed artisti». L’esistenza della Fondazione riconosciuta, come quasi prassi d’ufficio, da un notaio e negata nella forma giuridica dal Prefetto di Roma perché «soggetto che non ha i requisiti richiesti dalla legge».

Tre anni che hanno posto l’attività del Teatro Valle Occupato al centro di un dibattito acceso di intellettuale e addetti al settore. Recentemente le iniziative di protesta sono arrivate attraverso l’indagine della Corte dei Conti sulla valutazione di un possibile danno al fisco, l’esposto in Procura del portavoce alla cultura di Forza Italia, l’attore e regista Edoardo Sylos Labini, e anche l’Agis-Anec Lazio che ha querelato gli occupanti del Valle e anche tutti coloro che hanno «tollerato l’occupazione ai danni della collettività». Le tesi sposate vanno dall’illegalità nella presa di possesso della struttura (e quindi di fondo un trattamento di disparità ai danni di tutti gli altri artisti, come denunciato da Manuela Kustermann, Pietro Longhi e Carlo Emilio Lerici che ne contestano soprattutto la lunga durata, più che le ragioni di fondo), al trattamento di favore da parte del Comune di Roma per il pagamento delle utenze, alla sicurezza delle strutture.
Dal canto suo il Valle risponde che, a fronte del pagamento delle utenze, il teatro è stato gestito offrendo un’ampia gamma di spettacoli nel corso dei tre anni di programmazione, a unico beneficio della cittadinanza.
Probabilmente è proprio sulla programmazione adottata che si incentra la vera controversia tra gli addetti al settore, sul desiderio di dare spazio in maniera democratica a tutti gli artisti e di avereuna linea artistica precisa e condivisa. Una ricerca strategica, forse ancora oggi mancante, che ha portato tanti tra attori e performers a esibirsi spontaneamente sul palcoscenico, soprattutto nel primo anno in segno di adesione entusiastica alla protesta. La necessità di un programmazione più coerente si è avvertita nel momento in cui si è voluta trasformare questa nuova realtà culturale in qualcosa di più di una semplice protesta.

L’esperienza del Valle e il passaggio al concetto di Bene Comune nella gestione del teatro, dopo la triste vicenda dello smantellamento dell’ETI, rappresenta la novità che richiama a livello non solo nazionale, ma anche europeo e internazionale, un’attenzione particolare alla questione. L’importanza è nella gestione diffusa e congiunta del teatro di artisti e cittadinanza. Il concetto di Bene Comune è in netta contrapposizione alla tendenza, degli ultimi decenni. Tendenza che ha fatto del teatro stabile o di servizio pubblico (categoria nella quale convergono realtà pubbliche e private, a Roma per fare un esempio rispettivamente il Teatro Argentina o Il Sistina) luogo di elezione borghese, di spettacoli di una certa taratura culturale e quindi destinato solo a un’élite intellettualistica. Questa tendenza però non sembra aver interessato altre realtà romane occupate, come per esempio il Cinema Palazzo o il Cinema Europa, che hanno adottato una programmazione vicina più a una logica popolare. Si avverte tutt’ora profondamente la mancanza di un teatro pubblico che elegga la propria sede anche nelle grande istituzioni e non solo nel circuito, vivissimo, dei piccoli teatri-off.

Nei giorni scorsi la proposta del Teatro di Roma è stata quella di «trasformare il Valle in un Teatro partecipato». Inoltre, il nuovo assessore alla Cultura Giovanna Marinelli, in un incontro di pochi giorni fa con la Fondazione, ne ha riconosciuto il valore e ha dimostrato apertura per salvaguardare «i migliori risultati e le esperienze realizzate nella logica di un teatro partecipato anche dalle associazioni e dagli artisti attivi nella città di Roma».

Nella recente assemblea alla quale ha partecipato anche Marino Sinibaldi, presidente del Teatro di Roma, si è aperto un confronto allargato per indagare più a fondo sul significato di questa dichiarazione. A questo scopo il Valle ha individuato temi più specifici, con l’intenzione di consegnarli al Teatro di Roma. Questi principi sono il risultato del lavoro dei tre anni di occupazione, suddivisi nel modo che segue:

Principi artistici
direzione artistica a chiamata pubblica su progetto
salvaguardia dei principi che animano la vocazione artistica di questa esperienza basati su: formazione, drammaturgia contemporanea, relazioni nazionali e internazionali, interdisciplinarietà, teatro aperto alla cittadinanza.

Principi di natura gestionale-economica
tutela dei diritti dei lavoratori rapporti di lavoro basati su un equilibrio tra paghe minime e massime e ispirati a un principio di equità
una politica dei prezzi che garantisca l’accesso a tutti

Principi di governo del teatro
cariche esecutive turnarie
partecipazione democratica nei processi decisionali

Nella conferenza stampa di ieri mattina alla Camera dei Deputati, nella sala messa a disposizione da SEL, alcuni rappresentanti del Valle Occupato hanno dichiarato la propria disponibilità a uscire dal Teatro nella notte del 10 agosto, che hanno definito notte dei desideri. Nel comunicato dichiarano che non è loro intenzione appropriarsi della gestione del teatro, ma definire i principi ispiratori insieme all’amministrazione. Nel frattempo il Teatro rimarrà aperto con i laboratori e le performance che erano già stati programmati.

Come nella Fattoria degli animali di orwelliana memoria, i maiali si sono ribellati e hanno occupato il teatro. Il popolo bue ha guardato, se ne è spesso disinteressato perché è pigro oppure perché, seppur volendo seriamente interessarsi del tema, non è riuscito a trovare del tempo da dedicare alla vicenda, perché preoccupato a far quadrare i conti in casa propria e sfamare i figli. Gli artisti, gli intellettuali, quelli che si sono interessati e anche i tanti indifferenti che compongono la nostra comunità, meritano una risoluzione della questione giusta ed equa. Affinché inizi un capovolgimento del modo di fare instauratosi negli ultimi tre anni, si dia speranza a un nuovo modo, che veda al centro non il solito gruppo di potere, ma un’utenza più allargata. In parole semplici, che non finisca tutto di nuovo in mano a pochi, ma che i principi ispiratori vengano difesi e applicati in una logica sociale. Che i maiali, insomma, non si approprino di nuovo della cosa pubblica. Un’opportunità quella che si presenta ora per l’intera collettività e che sarebbe un peccato che venisse sprecata.