Come una visione dell’immaginario

Il primo incontro di Luca Ronconi con la drammaturgia visionaria dell’argentino Rafael Spregelburd.

Debuttato nel 2011 al Festival dei Due Mondi di Spoleto, tratto da un testo dell’argentino Rafael Spregelburd (vincitore del Premio UBU 2011 con un altro lavoro, Lucido), lo spettacolo di Luca Ronconi ha subito fatto parlare di sé, trattandosi dell’incontro tra uno dei più importanti registi italiani con uno dei più apprezzati e controversi autori contemporanei.

La modestia è il terzo “capitolo” delle sette pièce scritte dal drammaturgo sudamericano, raccolte in una più ampia opera intitolata Eptalogia di Hieronymus Bosch, ispirata alla tavola del pittore rinascimentale fiammingo raffigurante i sette vizi capitali. Così come il dipinto di Bosch illustra la dissoluzione morale in età medievale, Spregelburd si concentra sulla dissoluzione (non solo morale) della nostra contemporaneità, portando in scena sette peccati moderni, che equivalgono agli antichi vizi capitali secondo logiche di riadattamento e/o ribaltamento: L’inappetenza/Lussuria, La stravaganza/Invidia, La modestia/Superbia, La stupidità/Avarizia, Il panico/Accidia, La paranoia/Gola, La cocciutaggine/Ira. Ne La modestia si presentano ad esempio personaggi incapaci di mettersi in gioco, ma non è ben chiaro se questa incapacità derivi da un senso di riserbo o al contrario da un peccato di superbia.

Il testo e lo spettacolo hanno una struttura “binaria”: vengono presentate due vicende autonome, nelle quali agiscono due coppie, ciascuna costituita da due uomini e due donne, interpretati dai bravissimi Francesca Ciocchetti, Maria Paiato, Paolo Pierobon, Fausto Russo Alesi, che entrano ed escono da un personaggio all’altro in modo sempre più frenetico e sempre meno dichiarato. Sebbene la scenografia rimanga identica per entrambe le storie, all’inizio alcuni cambiamenti scenici e illuminotecnici segnalano in modo piuttosto chiaro il passaggio tra i due episodi; poi i “segnali” spariscono, e questo crea notevoli difficoltà allo spettatore, messo a dura prova anche dalla lunghissima durata dello spettacolo (quasi tre ore senza intervallo).

Le due vicende sono dislocate in dimensioni spazio-temporali differenti: la prima sembra ambientata ai giorni nostri in un paese non specificato del Sud-America, mentre la seconda si svolge in generici tempi di guerra (senza altre specificazioni) in un paese dell’Est-Europeo, anch’esso non precisato. Una delle due trame è una storia abbastanza tradizionale: un medico che non può più esercitare la professione prende in cura uno scrittore malato di tubercolosi, a patto di diventarne il manager editoriale e pubblicarne un manoscritto in fieri. In realtà si tratta delle bozze di un romanzo scritto dal padre della moglie dello scrittore (o forse dalla moglie stessa), che lui stesso si rifiuta di completare, a costo della vita, o per il timore di esporsi e mettersi in gioco, oppure perché considera l’opera priva di valore.

L’altra vicenda è meno lineare, addirittura confusionaria, dove ben poco si comprendono i rapporti tra i personaggi e gli avvenimenti: si parla di ricatti, di una ragazza che è scomparsa, di tradimenti e di videocassette compromettenti… Ma il nodo non si scioglie mai. È come se si trattasse di una prova di “teatro dell’assurdo”, nel quale si mantengono le strutture drammaturgiche tradizionali (i personaggi dialogano e interagiscono tra loro, con una recitazione naturalistica), svuotate però di senso e di significato, talvolta private di plot e consequenzialità logica.

Luca Ronconi si esprime così a proposito dello spettacolo e del testo che porta in scena (le dichiarazioni sono state fatte in diverse occasioni): «È uno spettacolo da percepire, più che da capire». «Non è la trama importante. La trama in Spregelburd è sempre nascosta. Quel che conta è il nesso sotterraneo fra storie parallele, la schizofrenia dell’umanità contemporanea, la bilocazione permanente dei personaggi rispetto a se stessi e al mondo». «Spregelburd è un autore che si è affidato a una percezione della contemporaneità che corrisponde al nostro tempo ma non è cronachistica, lavora sull’immaginario».

Se spostiamo tutta l’operazione nell’ambito dell’immaginario, del delirio, della schizofrenia e dell’onirico, la rappresentazione acquista in effetti un senso: la scenografia si costruisce gradatamente nel corso della performance accumulando oggetti che permangono tra un episodio e l’altro, per poi disgregarsi (una parte della parete crolla, alcuni mobili si ribaltano) come a voler rappresentare il disfacimento psichico dei protagonisti; questi ultimi appaiono surreali, figure bidimensionali, macchiette di loro stessi, portatori di desideri e velleità poco probabili, ma pronti a sacrificare tutto e tutti per perseguire i propri scopi; gli attori cambiano ruolo soltanto modificando l’accento o altre minime caratteristiche, ma il passaggio avviene come se si trattasse di schizofrenici o bipolari; le azioni e le scene sono costruite seguendo il meccanismo dei sogni e dei ricordi, disordinato, offuscato, e appena percettibile, dove i volti si sovrappongono, la “trama” non è lineare, gli ambienti tendono a condensarsi in un solo luogo senza che vi sia una reale percezione della dimensione spazio-temporale.

Lo spettacolo è andato in scena
Teatro Verdi – Pisa
sabato 2 marzo ore 21.00 e domenica 3 marzo ore 17.00
 
La modestia
di Rafael Spregelburd
regia Luca Ronconi
scene Marco Rossi
costumi Gianluca Sbicca
luci A. J. Weissbard
con (in ordine alfabetico) Francesca Ciocchetti, Maria Paiato, Paolo Pierobon, Fausto Russo Alesi
produzione Piccolo Teatro di Milano
(durata due ore e quarantacinque minuti)