La dura verità

logo_teatro_stabile_napoli[1]Giancarlo Sepe rilegge George Bernard Shaw, portando al Teatro Mercadante di Napoli la sua versione de La professione della signora Warren.

Inghilterra. L’eccentrica signora Kitty Warren – professione: tenutaria di svariate case di tolleranza – si reca in visita dalla sobria figlia Vivie – giovane forte, dalla consistente morale, nonché studentessa modello – nella casa di campagna in cui quest’ultima sta trascorrendo le vacanze. Ad animare le giornate di queste donne saranno quattro uomini: il reverendo Samuel Gardner (qui in una eccessivamente bizzarra riproposizione) e suo figlio Frank, l’amico e socio di Kitty, Sir George Crofts, e l’appassionato d’arte Praed.
Il vero fulcro di quest’opera in quattro atti scritta da Bernard Shaw (1894) è il rapporto madre–figlia, guasto e senza possibilità di conciliazione, che vede le due donne diversissime e al tempo stesso accomunate dal destino cui, un mondo così materiale e maschilista, le condanna. Bramano indipendenza, affermazione personale, agio, ma scelgono vie diverse per giungerci. Quando Vivie scopre la professione materna, della quale mai aveva saputo nulla, la frattura tra le due diviene irreparabile. Nello scontro finale volano parole durissime e accuse. Si svelano, su tutto, le ipocrisie del mondo, le falle della morale a tutti i costi e le finzioni borghesi.
Nella versione di Giancarlo Sepe (ridotta a due atti) il testo originale subisce poche ellissi, ma i costumi suggeriscono un’ambientazione più tardiva. Sin da principio, inoltre, si palesa la volontà di dare alla pièce un impianto a tinte scure, noir, con la signora Warren che fa il suo ingresso sulla scena immersa in un’oscurità nebbiosa rotta solo dai fari di un’auto, col volto semi-celato e una musica da gialli all’inglese. E, in effetti, i toni restano cupi per tutta la durata dello spettacolo (si vedano le luci, pure), soffocando il testo e appesantendolo. Non aiuta, in tal senso, la scenografia, costituita da pochissimi elementi grevi su cui campeggiano il grosso pannello bianco sullo sfondo – che reca impressa l’immagine di un assegno – e delle livide strutture mobili che, riutilizzate, vengono usate per separare i piani spaziali o come complementi d’arredo. Simbolico e fosco anche l’ingresso in scena di Vivie, immersa nel buio e coperta da cumuli di libri. Discutibile la scelta di lasciare le quinte a vista, pronte a distrarre lo spettatore dalla narrazione, così come desta delle perplessità il ricorso alle musiche a cui, in mancanza di una solida scenografia, è delegato il compito di accompagnare le scene. Perennemente presente, risulta talvolta superflua o fuori luogo, se non addirittura bistrattata nel passaggio da un sottofondo all’altro (chiari e netti sono gli stacchi e i cambi, anche qui con funzione di distrazione dell’ascoltatore più attento).
Quello che spiace, alla fine della rappresentazione, è la sensazione di aver assistito a uno spettacolo in cui testo e adattamento non aderiscono, apparendo distanti e scollati in più punti. Resta sublime il lavoro degli attori, con una Lojodice che domina il palco, senza per questo adombrare gli altri.

Lo spettacolo continua
Teatro Mercadante
Piazza Municipio, Napoli
dal 22 aprile al 3 maggio 2015

La professione della signora Warren
di George Bernard Shaw
traduzione, adattamento e regia Giancarlo Sepe
con Giuliana Lojodice, Giuseppe Pambieri, Pino Tufillaro, Fabrizio Nevola, Federica Stefanelli, Roberto Tesconi
scene e costumi Carlo de Marino
disegno luci Gerardo Buzzanca
colonna sonora a cura di Harmonia Team
con le musiche originali di Davide Mastrogiovanni
produzione L’isola trovata
in collaborazione con Teatro Eliseo