L’irrisolta vertigine tra arte e cultura di massa

All’interno della dodicesima edizione dello Short Theatre Festival, il duo ricci/forte ripropone una performance del 2015, dove l’immaginario della cultura di massa esplode contaminando anche gli spazi dell’arte.

Dissacranti e iconoclasti, imprevedibili ed elettrizzanti, e comunque mai blasfemi in senso auto-appagante dal momento che la loro ricerca espressiva è vincolata sempre a un sagace apparato concettuale: ricci/forte, ovvero la coppia di artisti Stefano Ricci e Gianni Forte, stimati a livello internazionale come tra le voci più significative dell’ultima generazione del teatro di sperimentazione, si sono imposti divenendo un punto di riferimento essenziale per la nuova leva di autori e registi, almeno tra coloro che ancora considerano il teatro e la complessità degli elementi che costituiscono uno spettacolo teatrale un’espressione complessa di elementi artistici.
Gli spettacoli di ricci/forte non lasciano mai nulla al caso: il testo, la recitazione, ma soprattutto la messa in scena, la scenografia, le luci, l’attenzione maniacale dei due artisti romani è costante, in ciascuna delle loro proposte artistico-teatrali. E se recentemente abbiamo visto il duo romano cimentarsi per la prima volta con l’opera lirica, ovvero con Turandot allo Sferisterio di Macerata, allo Short Theatre in scena alla Pelanda di Roma hanno riproposto una loro opera del 2015 dal formato opposto, appunto “short”, una performance che in mezz’ora genera un vortice di attrazioni e repulsioni che non può lasciare indifferente gli spettatori: questi ultimi, invitati all’interno della piccola meeting room dello spazio espositivo, assistono in piedi alla Ramificazione del pidocchio (hommage à Pier Paolo Pasolini), tagliente e profonda denuncia della società di massa e dell’omologazione culturale che attraversa, come un processo indefinito e costante, tutta la storia dell’Italia moderna, dal boom economico ai nostri giorni, riflettendosi nelle miserie e nelle violenze quotidiane. L’immagine del pidocchio che si ramifica per crescere e riprodursi si riferisce all’immaginario colonizzato dalla televisione e dal consumismo, e alla denuncia esplicita e didascalica del Pasolini degli Scritti corsari o di Empirismo eretico, ricci/forte preferiscono l’ultimo Pasolini di Petrolio, quello più visionario, non meno severo e radicale ma che decise di trasfigurare tale radicalità fin nel tessuto formale della sua produzione letteraria. Questo fanno ricci/forte: nulla è detto esplicitamente e in maniera palese, perché qualora la critica passasse attraverso i canali dell’argomentazione classica, o attraverso le convenzioni del classico spettacolo teatrale, rimarrebbe fagocitata dallo stesso sistema che si intende criticare; il segreto è portare il caos nell’ordine, perciò ferire dall’interno il sistema colpendo le sue armi abitudinarie che sono la chiarezza, la simmetria, il soddisfacimento “culinario” dinanzi alla fruizione di uno spettacolo.

La corrispondenza tra esistenza quotidiana caratterizzata dal consumo massificato e dallo svuotamento di senso, e la schizofrenica successione di eventi che scandiscono la performance tra deliri e convulsioni epilettiche, balli lenti e pianti di disperazione, evidenziano l’assurda inautenticità della vita di ciascuno, che nel viverla viene subita tacitamente in maniera irriflessiva e che ricci/forte raddoppiano nella messa in scena costringendoci a guardarla per quello che è: una parcellizzazione di atti sciolti tra loro, regolati solo dalle smanie promosse, definite e diffuse dal circuito massmediale. Terrorismo e sport, musica e sesso, sentimento e informazione, non c’è  un solo ambito che resti incontaminato dalla massificazione capitalista, nemmeno le nostre emozioni sono spontanee ma sempre giocate in anticipo sui noi stessi; l’unica opportunità di salvezza è offerta dall’arte, e non a caso i due autori, attraverso i loro straordinari interpreti, ci conducono alla fine dello spettacolo fuori da questa camera iperbarica, come estremo e remoto principio di speranza.

Tuttavia la grandezza di ricci/forte va anche oltre, perché quest’ordine di discorsi sarebbe alquanto usurato e obsoleto, adeguato sì ai passati decenni ma strutturato su linee argomentative inflazionate e, diciamocelo, appartenenti a un’epoca passata fatta di sociologie e filosofie che hanno fatto il loro corso: ricci/forte rinnovano lo spirito critico “francofortese” e pasoliniano perché attivano nella loro opera un’ulteriore vertigine dialettica. Non si tratta dell’ennesimo vezzo masturbatorio e autoreferenziale dell’intellettualismo dell’avanguardia (complice per altro, in maniera dialettica, del dominio delle logiche del consumo attuali), ma dell’immersione spietata nella deflagrazione dell’arte nella popular culture, dove le posizioni saltano in uno scambio delle parti che toglie l’acquietante terreno ideologico da sotto i piedi: se la morte e la depressione, Pasolini e Leo Ferré, diventano elementi della cultura di massa, l’altra polarità dialettica, ovvero l’arte teatrale, si trova suo malgrado nella medesima dinamica, snaturandosi anch’essa nella dimensione edonistica tipicamente postmoderna.

Allora Klaus Nomi e i Die Antwoord, parte della colonna sonora dello spettacolo, sono la manifestazione efficace di tale dinamica, perché al contempo pop e anti-pop, come gli stessi ricci/forte, cresciuti nei linguaggi della televisione consumista e conoscitori specializzati dell’universo della cultura massificata. Come risulta evidente nell’opera degli artisti contemporanei più lungimiranti (pensiamo a Vanessa Beecroft), non c’è più confine tra l’accusa polemica della cultura presumibilmente emancipata e dissidente, e l’asservimento all’immaginario commerciale, perché nell’unica sfera compatta della contemporaneità assistiamo a una spirale, nevrotica, delirante, tragica. Come gli spettatori vengono chiamati direttamente in causa nello spazio della performance, guardati negli occhi o portati a ballare con gli attori nel centro della stanza, così lo spazio acquietante che distacca l’esercizio manieristico e spocchioso del tipico artista evoluto dal popolino misero e ingenuo vittima del dominio culturale, spazio auto-appagante di tutta una generazione di falsi profeti, viene spazzato via. Ricci/forte partecipano alla medesima giostra, facendola vibrare dall’interno, scardinandola ma con ciò rendendola ancora attraente; questa la loro tragedia, la tragedia di una partita a tennis dove la palla continua a passare da una parte all’altra della rete. Non ci sarebbe da stupirsi se alcune icone del mainstream pop internazionale particolarmente sensibili alla ricerca estetico-artistica, da Lady Gaga a Kanye West, si accorgessero del talento del duo italiano.

Lo spettacolo è andato in scena all’interno di Short Theatre Festival 12 – Lo Stato Interiore: 
La Pelanda. Centro di produzione culturale – Meeting Room
Piazza Orazio Giustiniani, 4 – Roma
domenica 10 settembre, 17.00 + 18.00 + 19.00 + 22.30 + 23.15
durata 30′

La ramificazione del pidocchio (hommage à Pier Paolo Pasolini)
di ricci/forte
con Giuseppe Sartori, Simon Waldvogel, Anna Gualdo, Liliana Laera, Ramona Genna