Al Teatro Argentina, per il Romaeuropa, Baro d’evel inscena la prima contraddittoria parte del dittico Là, sur la falaise.

Prima dell’universo non esisteva il nero, non c’era alcun vuoto, tutto ciò che oggi conosciamo in termini di spaziotempo e colore è venuto dopo. La prima manifestazione di  qualcosa di vagamente familiare è stata la luce, la cui presenza è data dal bianco che illumina diversamente la materia che investe.

In questo mondo sospeso di purezza lattea che nasconde l’essenza del proprio contrario, vale a dire l’assenza di luce e dunque il buio, si muovono un uomo, una donna e una bambina. Al suo interno, l’avvento dell’essere umano è un parto possibile solo come rottura, come frantumazione visiva e sonora dell’algida perfezione di questo non-lieu immacolato. Si ode uno squarcio e si vede comparire un piede. Un uomo sta entrando in scena, trascina un’asta con microfono che produce suoni e fruscii a bassa frequenza e inizia con evidente imbarazzo a porre domande su cosa si fa quando non si fa niente, su come occupare il vuoto con il pieno. Anche la bambina ha fatto il proprio ingresso correndogli alle spalle e strappandogli di mano un foglietto – che fa a pezzettini – su cui sembrava potesse esserci appuntato qualcosa di importante.

Perduto l’incipit dello spettacolo, dunque la possibilità di una direzione maestra e obbligata, entra la donna. Inizialmente muta, si pone a distanza dall’altro. La loro interazione sarà costantemente forzata, sublimata nel canto, ma comunque poco comunicativa, almeno fino all’abbraccio finale, quando si aiuteranno a scendere dall’alta parete posta di fronte alla platea.

Il loro linguaggio – un deprecabile itagnolo – è rarefatto come l’ambiente che abitano, la loro relazione è quasi sempre infantile, ma artificiale. Il loro movimento è una continua precaria esplorazione che diventa corpo a corpo, si trascina sulle pareti che, al contatto, perdono candore e svelano il nero che fino ad allora era rimasto nascosto. Di contro, il nero degli abiti dei performer è diventato – per simbolica contaminazione – bianco . Il suono non è più onomatopeico, adesso è canto e dialogo, la danza si è fatta pittura, la modalità performativa è più recitata. Le tre pareti sono ormai segnate (in vario modo con le mani, con il microfono, dagli adulti, dalla bambina) e assumono una figuratività minimale di linee riconoscibili come alberi, panorami, tramonti, membra maschili e femminili.

Baro d’evel anela così a una composizione artistica totale, incrocia lirica, teatro performativo e nuovo circo e propone una restituzione altamente poetica di emozioni e suggestioni che le parole di un racconto non potrebbero che recludere drammaticamente. La narrazione è espulsa tanto dall’ambientazione – che da totalmente bianca diventa quasi una caverna disegnata con elementi di arte preistorica – tanto dall’uso squilibrato e impulsivo della voce, dalle contrazioni spasmodiche delle gestualità, dai pianti e dalle risate.

La preparazione tecnica del duo è indiscutible, i virtuosismi sono accennati per rompere l’impressione che si tratti di una performance scolastica, ma l’allestimento soffre ritmi compassati e la banalità con cui intreccia le proprie componenti materiali. La dialettica tra bianco e nero, pur interessante per la capacità di segnare fisicamente le pareti della scena, l’alternanza tra equilibrio e disequilibrio dello strumento attoriale, la ripetizione estenuante dell’emotività del corpo e l’espulsione di ogni attitudine al suo controllo e il rifiuto della perfezione del gesto sono modalità talmente autoreferenziali da implodere in una vana ricerca del lirismo assoluto, alla cui edificazione manca forse la presenza animale che tradizionalmente costituisce uno degli elementi topici di questa compagnia franco-catalana e la cui privazione rende  un lavoro di puro mestiere, senza rischi e, purtroppo, senza alcuna poesia.

Lo spettacolo è andato in scena all’interno del Romaeuropa Festival
Teatro Argentina

Largo di Torre Argentina, 52 – 00186 Roma (RM)
8 ottobre, ore 21

Prima parte del dittico Là, sur la falaise
creazione Festival Montpellier Danse 2018
autori e interpreti Camille Decourtye, Blaï Mateu Trias e Rita Mateu Decourtye
collaborazione scenica Maria Muñoz – Pep Ramis / Mal Pelo
collaborazione alla drammaturgia Barbara Métais-Chastanier
scenografia Lluc Castells, con l’assistenza di Mercè Lucchetti
collaborazione musicale e creazione del suono Fanny Thollot
progetto illuminotecnico Adèle Grépinet
creazione dei costumi Céline Sathal
musica registrata Joel Bardolet (arrangiamenti per archi), Jaume Guri, Masha Titova, Ileana Waldenmayer, Melda Umur.
costruzione Jaume Grau e Pere Camp
direzione generale Cyril Monteil o Coralie Trousselle
direttore di scena Flavien Renaudon o Cyril Turpin
gestione del suono Brice Marin o Fred Bühl
diffusione Judith Martin
direttore di produzione Laurent Ballay
amministrazione Caroline Mazeaud
comunicazione Ariane Zaytzeff
addetto alla produzione Pierre Compayré
foto © Francois Passerini
produzione Baro d’evel
coproduzioni GREC 2018 Barcelona Festival e Teatre Lliure a Barcellona, ??Garonne Theatre, scena europea, Montpellier Dance Festival 2018, Malraux national stage Chambéry Savoie, ThéâtredelaCité – CDN Toulouse Occitanie, Pronomade (s) en Haute-Garonne, CNAR, MC93, Maison de la Culture de Seine-Saint-Denis, Le Grand T, teatro Loire-Atlantique, L’Archipel, scena nazionale di Perpignan, CIRCa, Pôle National Cirque, Auch Gers Occitanie, le Parvis, scène nationale Tarbes-Pyrénées, Les Halles de Schaerbeek – Bruxelles, Le Prato, théâtre international de quartier, pôle national cirque de Lille, L’Estive, scène nationale de Foix et de l’Ariège, festival BAD di Bilbao, le Cirque Jules Verne, PNC Amiens, la scène nationale d’Albi nell’ambito del sostegno del FONDOC, Bonlieu, scène nationale d’Annecy, l’Avant-scène di Cognac
beneficiario del progetto di cooperazione transfrontaliera PYRENART, nell’ambito del programma Interreg V-A Spagna-Francia-Andorra POCTEFA 2014-2020 – Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR)
residenza Pronomade (s) in Alta Garonna, CNAR, Le Prato, PNC de Lille, Le Théâtre Garonne.
con il supporto di MC 93, palcoscenico nazionale da Seine-Saint-Denis a Bobigny e da Animal a l’esquena a Celrà.
con l’aiuto alla creazione della DGCA, Ministero della Cultura e della Comunicazione, del Consiglio dipartimentale dell’Alta Garonna e della Città di Tolosa.