Un evento atteso da quasi cinquant’anni

A distanza di 45 anni dalla sua composizione, La serata a Colono, unico testo teatrale di Elsa Morante, trova finalmente una rappresentazione scenica, diretta da Mario Martone, con Carlo Cecchi nelle vesti di Edipo.

Inserita nella raccolta poetica Il mondo salvato dai ragazzini (pubblicata nel 1968 e ricca di sperimentazioni linguistiche e letterarie), La serata a Colono è l’unica prova teatrale di Elsa Morante, una riscrittura dell’Edipo a Colono di Sofocle, che attinge in buona parte anche agli altri due testi della trilogia sofoclea, Edipo re e Antigone. La stessa autrice la definisce “parodia”, riferendosi all’abbassamento stilistico da lei operato, incentrato sulla tragicomicità.
La vicenda si colloca nel 1960, all’interno di un ospedale psichiatrico. Nel reparto neuro-deliri due portantini depongono una barella, sulla quale si trova legato un uomo di mezza età con gli occhi e la fronte bendati. Dietro di lui si affanna la figlia, un’adolescente che consegna agli infermieri una lettera; grazie a essa il pubblico viene informato che l’uomo, vedovo con quattro figli, interdetto dai due figli maschi, è povero, tossico, alcolizzato, e si è accecato con un vetro di bottiglia. L’unica che continua a prendersi cura di lui è la ragazzina «di mente un poco tardiva».
I fatti della vicenda si intrecciano continuamente con il mito sofocleo (passaggi che nello spettacolo vengono brillantemente scanditi dalle soluzioni illuminotecniche di Pasquale Mari): il protagonista si chiama Edipo, la giovane figlia Antigone; il personale dell’ospedale, al contatto con l’uomo, assume nuove identità: i tre guardiani del reparto si tramutano in Cerbero, il temibile segugio degli Inferi; il dottore assume le vesti di Teseo, re di Atene; la suora/infermiera diventa Giocasta, la madre-moglie che Edipo invoca in suo aiuto.
Non è ben chiaro se si tratti di realtà o di un delirio paranoico e allucinato del protagonista perché anche lo spettacolo, come già il testo, offre un doppio livello di lettura e una doppia valenza dei personaggi. Ci si può limitare a ciò che si vede sulla scena, ossia un vecchio cieco, alcolizzato, drogato e pazzo, ricoverato in un ospedale psichiatrico, e assistito dalla figlia; oppure si può andare oltre, a una lettura più profonda e variabile, secondo l’individuale memoria culturale che ciascuno di noi ha del mito di Edipo e delle interpretazioni che ne sono state date (compresa quella psicanalitica di Freud): è attraverso questa memoria che le relazioni tra i personaggi producono nel lettore/spettatore una diversa reazione emotiva, è attraverso questa memoria che le invettive di Edipo contro il Sole si caricano di significato, è attraverso questa memoria che persino le urla deliranti degli altri pazienti assumono uno spessore culturale (trattandosi di citazioni di documentazioni storiche, discorsi politici e militari, testi sacri, inni ebraici). Eppure è questa stessa memoria che sta alla base della colpevolezza dell’Edipo morantiano, reo di essere portatore di intelligenza e cultura.
La regia di Mario Martone, che dell’Edipo sofocleo si è occupato anche di recente (sue sono le direzioni di un Edipo re e di un Edipo a Colono, debuttati rispettivamente nel 2000 e nel 2004), rimanda a un tipo di impostazione brechtiana, sia nell’uso delle didascalie iniziali proiettate sul fondo della scena e recanti l’antefatto riportato nel testo, sia nelle incursioni della musica (composta da Nicola Piovani) eseguita dal vivo. Allo stesso modo gli effetti illuminotecnici, l’amplificazione della voce, la recitazione artificiosa e straniante, la continua rottura della quarta parete provocata dai matti del coro che per quasi tutta la durata della rappresentazione si aggirano per la platea recitando i loro deliri, inducono lo spettatore a mantenere un distacco che non permette immedesimazione.
I due interpreti protagonisti riflettono fedelmente la descrizione che Elsa Morante dà di loro: Carlo Cecchi declama la sua lunga difficile monodia legato alla barella e bendato; Antonia Truppo, in veste di Antigone, è una ragazzina «sperduta, forastica, e con la brusca prontezza d’una gatta», come vuole l’autrice. In generale, tutto lo spettacolo è coerente con il testo morantiano, portato in scena senza tagli, e piuttosto fedele alle indicazioni sceniche fornite dalle didascalie della pièce.
Ma è proprio da tale fedeltà che emerge quanto sia stato arduo e coraggioso mettere in scena questo lavoro teatrale. La serata a Colono è infatti inserito in una raccolta di poesie, perché lo stesso dramma, nonostante la sua struttura drammaturgica, è sostanzialmente un testo poetico del quale, portato in scena, si perdono alcune caratteristiche: talvolta le parole, ad esempio, sono collocate sulla pagina come se fossero versi futuristi; le battute di Antigone sono stampate con parecchi errori d’ortografia (a sottolineare l’ignoranza e l’analfabetismo della ragazzina) che non si percepiscono nella recitazione; i deliri del coro, a malapena udibili nello spettacolo, sono citazioni colte svuotate di senso nel momento in cui perdono nessi sintattici e logici; i lunghi monologhi di Edipo solo alla lettura possono essere pienamente compresi e apprezzati nella loro liricità e nei rimandi ai testi sofoclei o ad altre fonti di alto spessore culturale.
Ma sta di fatto che finalmente è stato portato in teatro un testo tanto difficile e temuto, un’impresa che sembrava impossibile; allo stesso modo, come racconta la Suora-Giocasta, sembrava impossibile che il gigante Sacripante potesse passare attraverso un anellino, e invece «c’è passato più facile che recitare un’Avemaria!».

Lo spettacolo continua:
Teatro Argentina
largo di Torre Argentina, 52 – Roma
fino a domenica 17 febbraio
orario: martedì, mercoledì e venerdì ore 21.00, giovedì e domenica ore 17.00, sabato ore 19 (lunedì riposo)
(durata 1 ora e 40 circa)

Fondazione del Teatro Stabile di Torino, Teatro di Roma, Teatro Stabile delle Marche presentano
La serata a Colono

di Elsa Morante
regia e scene Mario Martone
con Carlo Cecchi, Antonia Truppo, Angelica Ippolito, Giovanni Calcagno, Victor Capello, Salvatore Caruso, Vincenzo Ferrera, Dario Iubatti, Giovanni Ludeno, Rino Marino, Paolo Musio, Totò Onnis, Franco Ravera, Francesco De Giorgi (tastierista), Andrea Toselli (percussionista)
musica Nicola Piovani
fondale Sergio Tramonti
costumi Ursula Patzak
luci Pasquale Mari
suono Hubert Westkemper
aiuto regia Paola Rota
foto Mario Spada