Le rose corrotte di Stefano Benni

Diverte e inquieta La signorina Papillon, in scena al Teatro Testaccio fino al 18 marzo. Nella favola noir il potere mostruoso delle parole assedia Rose e il suo giardino incantato, fino a popolarlo di incubi. Un limpido e giocoso diorama della decadenza, che conferma la vena grottesca dello scrittore bolognese

Una dolce fanciulla che infilza farfalle in un giardino di rose. E intorno a lei, come in una giostrina ottocentesca, un maldestro gendarme iscritto a una loggia massonica, un bel poeta terrorizzato dai bombi, una donnina allegra da Moulin Rouge. E tutti vogliono uccidere tutti. Sono i personaggi esilaranti e spaventosi de La signorina Papillon (nel paese dei brutti sogni), favola noir che conquista anche chi non è un lettore appassionato di Stefano Benni, autore di questa commedia fantastica e agghiacciante. In scena dal 6 al 18 marzo al Teatro Testaccio, lo spettacolo porta la regia di Alessandro Margari.
In un tempo imprecisato, forse quello della Francia fin de siècle, la protagonista
Rose Papillon, una sorta di stupefatta e sagace Alice nel Paese delle meraviglie, in abito bianco (la brava ed energetica Roberta Mastromichele), vive da sempre in un roseto incantato ai margini di Parigi, raccogliendo e catalogando in beata solitudine rose e farfalle. Le fanno compagnia solo un pappagallo in gabbia, che «sapeva tutto Mallarmé a memoria», e le sue stesse parole. Perché Rose sogna a occhi aperti e a lingua sciolta. Ragiona e annota sul suo diario gustosi sofismi e descrizioni doviziose delle sue rose surreali, come la «menophila pedofila», rose erotiche come «bocche protese in un bacio», rose peccaminose che alludono a innominabili amplessi.
Ma nella sua vita irrompono tre personaggi-maschera, che cercano di strapparla al suo micromondo, e di condurla nella rutilante Parigi, dove l´umanità vive la vita vera nella menzogna e nella corruzione. Sono Armand, sergente massone (Stefano Diana), il poeta-giardiniere Millet (Flavio Moscatelli) e la spregiudicata cugina di Rose, Marie Louise. Mentre i due uomini le dichiarano il proprio amore e rischiano di uccidersi in duello per lei, Marie Louise (una Chiara Canitano inarrestabile e sopra le righe, in corpetto, guepière e calze a rete) insegna all’ingenua cugina un grottesco galateo di eleganza e seduzione cittadina, come le acconciature con i candelieri in testa, l’erre moscia e l’occhio chiuso.
Peccato che tutti, crudelmente, facciano un doppio, o multiplo gioco. Armand pretende che Rose si conceda in costume da bagno, per uno strampalato ius primae noctis, al gran maestro della loggia. Millet le vuole dedicare «versi sanguinosi». Marie Louise ride di lei, apostrofandola «bietola», e la minaccia «di farla a pezzi» se si metterà tra lei e l’affascinante Millet. I tre, poi, complottano tutti contro la signorina Papillon. Marie Louise si rivela l’amante non solo del poeta, ma anche di Armand, e con loro macchina di far fuori la cugina per la succulenta eredità. Ma sono amanti anche il poeta e il soldato, che hanno scoperto di essere “fratelli” di loggia, e – sorpresa! – lo sono pure Rose e Marie Louise, che vogliono accoppare la madre di Rose. Ci si arrende, e si ride. È una farsa scoperta, una macchietta angosciosa, il teatro dell’assurdo. Accresce il senso di irrealtà il mulinello forsennato dei tre intorno a Rose, tra proposte e lusinghe per risucchiare l´ultima bellezza in un mondo contaminato, in cui fanno capolino le aberrazioni di oggi: l’acquisto di un «attico» in città (che terrorizza la fanciulla: «Ma gli Attici, cioè i Greci, non sono tutti morti? E perché venderli?»), la dittatura della tecnologia, i mondi virtuali, l’odio per gli stranieri (che, afferma Armand, «assediano le nostre coste, spargono virus e guardano le nostre donne»). Se il terzetto rappresenta l´altrove imperfetto, la signorina Papillon incarna un mondo di ideale purezza. Eppure, anche il suo è un regno decadente e mostruosamente ripiegato su di sé. La leggiadra mademoiselle si dedica alla raggelante pratica di trafiggere esseri viventi, e il suo pappagallo è bello che morto e impagliato. Le sue cento e otto incantevoli rose «si spampanano», appestate da un morbo misterioso. Lo stesso nome di Rose Papillon, “rosa farfalla”, esprime un’ossessiva “tautologia” dell’esistenza: un’opprimente, mortale ripetizione. E anche nel giardino fatato tutto può succedere: compresi l’inganno e il delitto.
Il vulcanico virtuosismo linguistico di Benni è perfettamente funzionale alla pirotecnia dello spettacolo, un carosello vorticoso e variopinto che fa ridere e girare la testa. Le parole, con il loro supremo potere caotico, sono le vere protagoniste. Parole che tessono dialoghi taglienti e frenetici. Parole come armi che, spiega Armand, costruiscono dialoghi o dibattiti per schiacciare invariabilmente l’interlocutore. Parole che – come in una pièce di Ionesco – edificano mondi, alterano la realtà, le identità e i ruoli, rifondano valori e disvalori, fino a uccidere l’innocenza. Sogni e incubi sono la stessa cosa e gli uni il contrario degli altri: è meglio risvegliarsi da un incubo che da un bel sogno, come sottolinea sottilmente Marie Louise. Persino la “bietola” Rose può diventare cinica, oppure può salvare la fantasia. Come? Difendendola dalle parole e ascoltando una voce nel bosco: «Se hai un sogno, frenalo alla soglia delle frasi. Tienilo segreto».

Lo spettacolo continua:
Teatro Testaccio
via Romolo Gessi, 8 (Testaccio)
fino a domenica 18 marzo
orari: da martedì a sabato ore 21.00, domenica ore 18.00
biglietti: intero 15 Euro, ridotto 12 Eur (ridotto)
info e prenotazioni: tel. 065755482

Esseditre Produzioni presenta
La signorina Papillon (nel paese dei brutti sogni)
di Stefano Benni
regia Alessandro Margari
con Chiara Canitano, Stefano Diana, Roberta Mastromichele, Flavio Moscatelli
fonica e luci Graziano Atzori