Il rito della cura

Un fratello e una sorella di fronte al mistero della morte: l’ultima pièce di Lina Prosa al Teatro dell’Arte di Milano.

Il teatro di Lina Prosa sta riscuotendo in questi anni un successo sempre crescente. La Trilogia di Lampedusa è stata tradotta in varie lingue, in Francia da Jean-Paul Manganaro e poi rappresentata alla Comédie Française, in Italia al Piccolo di Milano, mentre prestigiosi riconoscimenti internazionali continuano a premiare la scrittrice di Calatafimi-Segesta, che a Palermo ha fondato e dirige il Teatro Studio Attrice/Non, legato al progetto Amazzone, che si propone di creare strumenti culturali per elaborare l’esperienza del cancro al seno. La stanza del tramonto, dopo aver debuttato a Bologna il 26 febbraio di quest’anno, è ora approdato al Teatro dell’Arte di Milano.
Dai temi civili ed epici della Trilogia di Lampedusa si passa qui al privato, ma affrontato da un punto di vista antropologico (il sottotitolo suona Appunti sulla vita ordinaria di un mammifero) e con la medesima aspirazione a un linguaggio poetico e visionario. L’argomento è ambizioso: il rito della cura e della fine.
All’origine del progetto c’è infatti una collaborazione durata cinque anni con la compagnia teatrale Accademia Mutamenti che ha prodotto lo spettacolo diretto dal regista Giorgio Zorcù.
Un fratello e una sorella si incontrano dopo tanto tempo davanti alla porta chiusa della stanza d’ospedale in cui è stata ricoverata la madre. Sin dalle prime battute si imposta il tema della soglia, il passaggio dalla vita alla morte, e lo si pone con perfetta circolarità: è la madre, cioè colei che dà la vita, ad essere prossima a morire. Antiche rivalità vengono a galla, gelosie mai sopite riaffiorano esplicitamente e i due fratelli si contendono la cura del corpo materno in un futuro ritorno a casa. Il dialogo ha momenti di verità mescolati a un certo schematismo nella costruzione che insiste sulla polarità dei sessi (maschio vs femmina): il ragazzo era andato a vivere con il padre quando i genitori si erano separati, mentre la ragazza era rimasta con la madre, perdendolo di vista. Solo un senso di colpa dell’uomo potrebbe giustificare l’eccesso di tensione in questa gara che divide i due protagonisti, ma il testo non segue questa direzione, anche perché non lavora sulla credibilità psicologica della situazione.
Nella seconda parte lo spettacolo ci racconta cos’è accaduto un anno dopo la morte della madre: l’uomo si è ammalato e ora tocca alla sorella prendersi cura di lui. È l’occasione per ricostruire un rapporto: la donna infatti lo accudisce, consola, lo lava e gioca con lui e insieme si avviano ad affrontare il tramonto della vita. Questa seconda macrosequenza presenta caratteristiche stilistiche molto diverse: se la prima rientrava nel teatro di parola, e poteva sembrare uno spaccato borghese sia pure stilizzato, adesso prevalgono le immagini e i suoni (curati da Claudia Sorace e Riccardo Fazi) e La stanza della cura si sposta su una dimensione onirica: i fratelli ritrovano i giochi dell’infanzia e ricostruiscono una realtà edenica perduta. Il testo accumula però temi e suggestioni di varia natura, che finiscono per confondere lo spettatore, anche perché sono appena accennati: l’incesto sfiorato, la femminilizzazione dell’uomo, il travestitismo. Probabilmente Lina Prosa aspira all’ambiguità della fiaba, come fa dire durante lo spettacolo: «delle fiabe ognuno fa quello che vuole». L’approccio ci ricorda i romanzi di Ágota Kristóf, senza però l’asciuttezza espressiva della scrittrice ungherese.
Al regista Giorgio Zorcù è toccato un compito non facile: dare coerenza a un materiale molto eterogeneo, credibilità a battute programmaticamente poetiche e difficili da dire. E se la prima scena, quella in cui i fratelli si incontrano dopo molto tempo, si presenta come un prevedibile sketch, lo spettacolo prosegue invece con rigore ed efficacia, anche grazie alla bravura dei due interpreti: Sara Donzelli, una sensitiva e determinata sorella, e Giampaolo Gotti, l’uomo fragile, che si danno con grande generosità.

Lo spettacolo è andato in scena
Teatro dell’Arte

Viale Alemagna 6, Milano
dal 9 all’11 dicembre 2016

Accademia Mutamenti
La stanza del tramonto
Appunti sulla vita ordinaria di un mammifero

di Lina Prosa
con Sara Donzelli e Gianpaolo Gotti
collaborazione drammaturgia e spazio scenico Claudia Sorace e Riccardo Fazi
collaborazione al progetto Anna Barbera
costumi Marco Caboni
organizzazione e distribuzione Anella Todeschini
diretto da Giorgio Zorcù
produzione Accademia Mutamenti, Regione Toscana
con la collaborazione di Armunia Castiglioncello