Naufragio d’intenti

Recensione La tempesta. Il congedo dal teatro di Shakespeare, La tempesta, va in scena all’Argentina di Roma nell’adattamento diretto e tradotto da Alessandro Serra. Una versione densa dal punto di vista dell’emozione visiva, ma debole nella sua efficacia drammaturgica.

La tempesta occupa un posto singolare nella straordinaria produzione del Bardo. Unica pièce in cui le tre unità aristoteliche del dramma vennero rispettate e i cinque atti classici recuperati, il drammaturgo inglese realizzò questo romance mescolando stili e linguaggi eterogenei e facendo del suo ultimo capolavoro l’opera forse più complessa e “vasta” per le tematiche intrecciate. Come ricordava il nostro Alfredo Agostini, ne La tempesta Shakespeare «tratta la colonizzazione e il Nuovo Mondo attraverso la figura di Calibano (la prima messa in scena risale al 1611) e riflette sul tema dell’utopia/distopia; indaga il senso del tempo e della metamorfosi recuperando Ovidio; rappresenta ogni genere teatrale, dal drammatico al comico, la commedia dell’arte e musicale, il dramma storico e innesca un meraviglioso apparato di metateatro che individua in Prospero la rappresentazione dell’autore, del creatore di un’opera d’arte e quindi di impalpabili illusioni». A complicare la “comprensione” dell’opera vi è poi la “leggenda” secondo la quale le parole di Prospero e il suo conseguente abbandono dei poteri (la rottura della bacchetta magica e la rinuncia al libro) sarebbero il riflesso intenzionale dell’addio al teatro di Shakespeare.

Rispetto alle dichiarazioni di positività espresse dal finale de La tempesta, quanto rimane cupo l’orizzonte di un ritorno alla civiltà? Nel dolore della quotidianità, i sogni costituiscono l’unico appiglio per la felicità? La magia dell’illusione potrà far sperare in un mondo migliore? L’amore puro è davvero foriero di un lieto fine per il genere umano? È ipotizzabile che gli “uomini” possano sanare le ingiustizie della vita che loro stessi hanno contribuito a determinare? Qual è il ruolo dell’arte in questo scenario?

Tra le molteplici linee di lettura, il testo si mostra non sempre coerente e spesso ostico da decriptare, complice anche quelli che potrebbero essere interpretati come veri e strutturali limiti narrativi, se non proprio come una “confusione” stilistico-compositiva. Analogamente a Racconto d’inverno, La tempesta potrebbe infatti rischiare di apparire “eccentrica”, se non proprio contraddittoria, se non fosse che a restituire un’organicità di livello superiore è lo straordinario impianto metatestuale, rappresentato in maniera memorabile dalle parole “terminali” di Prospero, in particolare dal momento in cui invoca l’indulgenza e l’assoluzione del pubblico e dichiara che i personaggi dello spettacolo cui si è assistito sono in realtà “spiriti”, dunque personaggi teatrali in senso stretto, non falsi, ma fantastici. Se esistono distonie tra realtà e sogno, tra verità storica e fantasia, tutto ciò accade perché Prospero, ossia l’autore, attraverso l’arte della parola, così come il mago con la magia, può fare e disfare la realtà degli eventi secondo i propri desideri. La tempesta è un autentico manifesto del potere dell’arte drammaturgica, della sua capacità di plasmare l’immaginario e creare l’uomo (Harold Bloom).

Serra organizza la macchina teatrale su contrappesi stilistici e carica le scene di entusiasmo, virtuosismi, coralità e individualità, sfiorando nei momenti comici il grottesco e in quelli drammatici un’enfasi manieristica. Il risultato complessivo è, infine, convincente ma solo dal punto di vista dell’efficacia visiva, meno da quello della riflessione estetica. Rispetto alla storia di Prospero che perdona i malvagi compatrioti e consanguinei, Serra sceglie dunque di non concentrarsi sulla drammaturgia e sul potere evocativo nelle parole, ma su quello attrattivo dello sguardo. Cercando di non definire i margini tra realtà e sogno, l’installazione prova a restituire l’ambivalenza di personaggi che sull’isola inscrivono un terrificante percorso di formazione dalla corruzione verso una “nuova innocenza”; ma, nonostante la composizione di una manichea partitura di luci e ombre, le suggestioni pseudo-coreografiche e le numerosi citazioni colte, dai manichini di Kantor al telo tempesta di Strehler e alla commedia dell’arte, la “perturbazione atmosferica” è ridotta – come purtroppo spesso accade – a “intuizione sonora”, mentre la scenografia diventa un ambiente vuoto da popolare. Serra, dunque, si “adegua” alla “vulgata” teatrale secondo la quale le fondamenta di un allestimento immaginifico siano energia performativa, impatto scenico e sensibilità estetica. Le soluzioni minimaliste rimandano alla speranza che lo spettatore, “forte” della propria estraneità al contesto d’azione, possa conoscere l’isola insieme ai personaggi, la cui caratterizzazione è essenziale e le cui dinamiche attoriali non afferiscono a nulla di prossimo ai nostri tempi data l’ambientazione metastorica e metafisica.

Gli interpreti sono coinvolgenti e appassionanti, forse veementi o affettati, ma comunque la loro impostazione psicologico-dinamica corrisponde sempre all’immaginario dominante che caratterizza La tempesta e il caso di Ariel è emblematico dello “standard” assunto da Serra visto che non siamo né ai livelli dello “sbirulino” di Daniele Salvo nel suo Re Lear, né a quelli dell’interessante soluzione di Valerio Binasco.

La trasposizione di Serra prova a fare del teatro l’epifenomeno delle arti di Prospero e per questo, così come sull’isola del duca dimora la magia, le scene si svolgono su un quadrato sopraelevato sul quale spetta all’immaginazione dello spettatore edificare le architetture naturalistiche (dalla spiaggia del naufragio alla grotta-cella di Prospero e alla labirintica foresta). Come per Macbettu, a Serra si riconosco intuizioni felici, ma nel complesso lo spettacolo è deludente rispetto alle attese e alla effettiva realizzazione. Ma se nel precedente lavoro era possibile scorgere un anelito sperimentale (pur poco approfondito, se non proprio limitato alla questione delle lingua), questa volta l’impoverimento del testo è notevole, per nulla compensato dalla valenza simbolica degli oggetti di scena (i rami, le maschere, la conchiglia, i cambi d’abito). La stessa componente metatestuale rimane in ombra e, di fatto, confinata al momento in cui sul fondale della platea si apre una finestra sul mondo di personaggi che interpretano persone affaccendate in dialoghi e brusii.

Oltre la qualità interpretativa, la fattura del disegno luci e la potenza dell’impianto sonoro, cosa resta “in grado” di evocare drammaticamente l’interrogazione su che cosa accade all’incrocio tra ciò che chiamiamo “teatro” e ciò che consideriamo “la realtà”? Rimane infatti labile il senso di una condizione esistenziale che, legando persona e personaggio, possa “estrarre” il fuori dal dentro del teatro, mentre è scialbo il pur suggestivo tentativo di far di Miranda una donzella pura e immacolata quando ama l’aristocratico Ferdinando e una razzista quando definisce – forse anche comprensibilmente, visto il tentativo di stupro – Caliban «miserabile schiavo» e «ignobile razza».

Davvero troppo poco per corroborare l’intenzione di Serra di rileggere «la storia di Prospero, re spodestato che approda in un’isola e fa magie e prodigi per vendicarsi» e realizzare «uno spettacolo sul potere: potere come usurpazione del potere, potere dinastico. Ma anche potere del teatro».

Lo spettacolo continua
Teatro Argentina
Largo di Torre Argentina, Roma
dal 28 aprile al 15 maggio

La tempesta
di William Shakespeare
traduzione e adattamento Alessandro Serra
con (in ordine alfabetico) Fabio Barone, Andrea Castellano, Vincenzo Del Prete, Massimiliano Donato, Paolo Madonna, Jared McNeill, Chiara Michelini, Maria Irene Minelli, Valerio Pietrovita, Massimiliano Poli, Marco Sgrosso, Bruno Stori
regia, scene, luci, suoni, costumi Alessandro Serra
collaborazione alle luci Stefano Bardelli
collaborazione ai suoni Alessandro Saviozzi
collaborazione ai costumi Francesca Novati
maschere Tiziano Fario
Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale / Teatro di Roma – Teatro Nazionale / ERT – Teatro Nazionale / Sardegna Teatro
in collaborazione con Fondazione I Teatri Reggio Emilia / Compagnia Teatropersona