Percorsi di autofiction

Al via la 26° edizione del Festival delle Colline Torinesi, «un’edizione che ripropone alcuni titoli della venticinquesima, quelli cancellati o rinviati, e molte altre novità», prima fra tutte la sua natura insolitamente autunnale dettata non solo dall’emergenzialità, ma anche dalla speranza, simbolica, di rappresentare un rilancio, una ripartenza tanto agognata e ora finalmente arrivata.

Visto da noi al suo secondo appuntamento in programma, il Festival porta in città l’ultimo testo di uno degli «autori contemporanei più interessanti» del panorama (più o meno) under 35 nazionale, La tragedia è finita, Platonov, di Liv Ferracchiati, già debuttato al 48° Festival Internazionale del Teatro promosso dalla Biennale firmata Latella. Partendo da Bezotcovščina (o Senza padre, noto poi ai più come Platonov), il dramma mai finito dalla durata di cinque ore in quattro atti scritto da un Anton Čechov quasi ventenne, il regista, drammaturgo e attore tuderte classe 1985 mette in atto senza troppe remore una riscrittura dell’originale, asservendolo al proprio fine senza comunque allontanarsi troppo dalle sue ragioni più profonde.

«Amleto aveva paura dei fantasmi, delle ombre. Io ho paura della vita», concede Platonov, un maestro elementare di ventisette anni frustrato dalle proprie scelte personali, che l’hanno portato ad abbandonare gli studi universitari, a sposarsi, a mettere su famiglia e a relegarsi nella profonda campagna russa di fine ‘800. Una paura condivisa dal Lettore, un Liv Ferracchiati che sin dall’inizio denuncia la propria presenza non soltanto scenica ma anche testuale, ponendosi a bordo ring, mentre le quattro amanti di Mikhail Platonov (unico personaggio maschile mantenuto dall’originale) si scontrano sul palco in una sincronicità spiazzante che ingenera momenti di intelligente ilarità.

Anna Petrovna, la giovane vedova del generale Vojnicev, Marja Efimovna Grekova, la ventenne proprietaria terriera vicina dei Vojnicev, Sofja Egorovna, moglie del figlio di primo letto del generale Vojnicev, e Sasha, la moglie di Platonov, figure accomunate dalla debolezza per il fascino di un «comico mascalzone» che rappresenta alla perfezione «l’indeterminatezza contemporanea», figure che si riscattano nella rilettura di Ferracchiati grazie a piccoli momenti di potente erotismo che scandiscono l’incedere tragico della disfatta platonoviana. Nelle sue precedenti rappresentazioni, quest’opera non finita per esseri umani non finiti ha assunto i titoli più fantasiosi, da Don Juan (in the Russian Manner) a Wild Honey, ma è con la produzione di Ferracchiati che la parola “fine” appare finalmente sulla scena.

Ed è proprio dalla fine che tutto ha inizio. Al di là dell’inserimento di un personaggio donchisciottesco quale il Lettore, che si immedesima nel testo a tal punto da confondersi con esso, in un dapprima tentennante e poi sempre più deciso confondersi di ruol, l’intervento del drammaturgo/regista sul testo si palesa anche e soprattutto nel mostrare, in apertura, la morte del protagonista, ucciso da una rivoltella deus ex machina impugnata con ardore dalla passionale Sofja. Sembra proprio di stare, dunque, «sull’orlo dell’esistenza», a un passo dalla disfatta, ma anche dalla salvezza.

Scelto per affinità personali conclamate dopo un lungo periodo di frequentazioni anagnostiche, il testo di Čechov, rivisitato da Ferracchiati, parla di una ricerca di identità in relazione agli altri o, per meglio dire, alle altre. Sì, perché, come nella più classica delle autofiction (termine spesso denigratorio, nonostante la sconfinata produzione letteraria di qualità che muove i propri passi proprio dalle esperienze personali degli autori/delle autrici), gli amori di Platonov si vestono delle esperienze e dei trascorsi degli intrallazzi amorosi del giovane regista, nascondendo i propri corpi di carne sotto abiti cartacei, fittizi, dove l’affabulazione si confonde con la percezione della realtà, in una reductio ad Ferracchiatum che, sorprendentemente, non scade mai nell’autoreferenzialità, nonostante tutto.

Mantenendo la propria esperta gestione scenica e del pubblico da noi già vista e segnalata nell’ultimo capitolo della Trilogia dell’Identità, con La tragedia è finita, Platonov, Ferracchiati muove un ulteriore passo in avanti lungo la sua parabola artistica -staccandosi tra le altre cose dalla compagnia The Baby Walk (di cui trattiene, per questa produzione la dramaturg Greta Cappelletti e la scenografa Lucia Menegazzo)- giocando con irriverenza con i canoni più classici e bucherellando le varie pareti con verve e slancio vitale condensato in movimenti impacciati, con spalle strette e occhi brillanti. In questo modo, il prodotto finale segna una svolta nella poetica dell’enfant prodige del teatro italiano di oggi, che si distacca dalla sua iniziale e competente ricerca di identità di genere per spostarsi sul terreno ancor più accidentato dell’identità culturale (sia parte che contenitore della gender identity), restituendo una pièce che comunica in modo efficace lo sgomento contemporaneo di fronte alla richiesta di agire sempre in modo produttivo, proattivo, propositivo, non solo nell’asfittica sfera del lavoro, ma anche in quella relazionale. Perché se Platonov ci tiene le gatte mentre siamo in trasferta, vuol dire che stiamo dialogando bene con il passato, ce ne stiamo facendo carico e lo stiamo riempiendo di attualità.

Lo spettacolo è andato in scena all’interno di Festival delle Colline Torinesi 26
Teatro Astra
via Rosolino Pilo 6 -Torino
dal 16 al 17 ottobre 2021
sabato ore 21:00
domenica ore 17:00

il Festival delle Colline Torinesi 26 presenta
La tragedia è finita, Platonov
di Liv Ferracchiati

con scene dal Platonov di Anton Čechov
con Francesca Fatichenti, Liv Ferracchiati, Riccardo Goretti, Alice Spisa, Petra Valentini, Matilde Vigna
aiuto regia Anna Zanetti
dramaturg di scena Greta Cappelletti
costumi Francesca Pieroni
ideazione e realizzazione costumi in carta e costumista assistente Lucia Menegazzo
luci Emiliano Austeri
suono Giacomo Agnifili
lettore collaboratore Emilia Soldati
consulenza linguistica Tatiana Olear
foto di scena Luca Del Pia
Produzione Teatro Stabile dell’Umbria con Spoleto Festival dei Due Mondi