Stelline col timer, ancore che volano come gabbiani e suore circensi, maschere, carillon, sputi e bauli.

Al Crt, sporchi e impeccabili, di nuovo in moto gli ingranaggi delle verissime allucinazioni firmate Emma Dante.

Tra lo sguardo e il mondo, tra l’io e il resto: gli occhiali.

Ultimo piccolo scudo trasparente, fragile barriera dietro cui nascondere gli occhi, ma, soprattutto, efficace filtro per guardare alla realtà nel modo in cui la si vuole vedere, sotto la personalissima luce della soggettività. «Tutti i personaggi della trilogia inforcano gli occhiali», dichiara Emma Dante, autrice e regista dell’opera: «Sono mezzi cecati. Malinconici e alienati». E nella loro cecità, nella loro alienata malinconia, hanno costruito un mondo personale su cui posare gli occhi, hanno allenato la vista perchè, per dirla con le parole di De Andrè, « le pupille abituate a copiare inventino mondi sui quali guardare. Seguite con me questi occhi sognare, fuggire dall’orbita e non voler ritornare».

Così ecco Acquasanta, il primo capitolo della trilogia, ed ecco ‘o spicchiato, il mezzo mozzo, in vestiti sgualciti e – immancabili – occhiali. Le sue lenti speciali sono quelle della pazzia. Abbandonato dall’equipaggio della nave da cui non scendeva dall’età di quindici anni, lasciato sulla terra ferma perchè incompreso, per i suoi pensieri incompatibili e le sue parole inafferrabili, perchè stonato nel coro della ciurma, ricrea in scena il suo mondo interiore. Una nave fantastica (e bellissima nella sua genialità) manovrata dai suoi scatti e dai suoi umori, che segue l’andamento dei suoi pensieri invece che quello del vento e delle onde; un mare in bottiglia che si infrange in gargarismi , un timone che scandisce i secondi e tante stelle bianche pronte a trillare i tempi scaduti.

Al centro, la bravura iperattiva di Carmine Maringola, solo, pronto a cambiare personalità e cappelli in una lucidissima danza schizofrenica e a lanciarsi, trasportando con sé la nave, il palco e la platea, nel mare dei ricordi, tra polipi, soprusi ed altri mostri.

Seconda parte, altri occhiali, altre distorsioni della realtà. Un bambino addormentato imprigionato in un corpo adulto e due donne, agitate come nere formiche laboriose, che lo lavano, vestono, nutrono. Capitolo simbolico e clownesco, difficile e divertente, Il castello della Zisa trasporta, tra birilli e luminosi crocefissi a molla, nel momento esatto in cui un carillon si ribalta – la routine si spezza. E Nicola, attonito, si risveglia. Poche parole, questa volta, dopo il fiume in piena della prima parte, ma tanti bisbigli, tanti squittii in italiano e in francese, e una scena bellissima che dal bianco e nero iniziale si anima di colori e movimento, guidata, anche questa volta, dai sapienti corpi espressivi dei tre bravi attori.

Per finire, gli occhiali più comuni, più utilizzati, quelli che tutti, ogni tanto, indossano: quelli del ricordo. Due anziani osservano attraverso le lenti della memoria e della vecchiaia i loro momenti insieme, tirandoli fuori da un baule e gettandosi essi stessi nel vortice del tempo, lasciando che gli oggetti-simbolo delle fasi della loro vita li trascinino anima e corpo nella emozionata rappresentazione di sé. Incredibile quanto la fisicità possa modificarsi, fantastico come il tremito di una novantenne diventi un ballo scatenato e come uno stesso corpo possa sembrare di dieci anni più giovane se prende le movenze di un quindicenne.

Ballarini: ogni periodo ha le sue canzoni, le sue danze, la sua musica, e «lui e lei» ancora parole dell’autrice «festeggiano l’arrivo di un nuovo anno ballando a ritroso la loro storia d’amore», fino al primo bacio, proprio davanti a quel mare tanto amato dal protagonista del primo capitolo della trilogia, da ‘o spicchiato; e alla fine tra le mani di lei, rinsecchita nei suoi anni, resta un carillon, il suo primo dono d’amore: la mente torna a Nicola, l’addormentato del castello della Zisa, e il cerchio si chiude su se stesso.

Personaggi e vicende che scatenano compassione e senso d’ingiustizia, attori perfetti, scene originali e comunicative, corpi parlanti, musiche ad effetto (dal vintage all’italiana di Mina e Rita Pavone agli ormai abusatissimi, almeno in teatro, Sigur Ros), qualche inevitabile peccato d’estetica, regia sapiente: la macchina teatrale di Emma Dante è di nuovo in moto.

Lo spettacolo continua:
CRT Teatro dell’Arte

via Alemagna, 6 – Milano
fino a domenica 6 marzo
orari: da martedì a venerdì ore 20.30 – domenica ore 16.00

La Trilogia degli Occhiali
scritto e diretto da Emma Dante
con Claudia Benassi, Sabino Civilleri, Elena Borgogni, Carmine Maringola, Stéphanie Taillandier e Onofrio Zummo
scene Emma Dante e Carmine Maringola
costumi Emma Dante
disegno luci Cristina Fresia
produzione Sud Costa Occidentale in coproduzione con Teatro Stabile di Napoli, CRT Centro di Ricerca per il Teatro
con il sostegno di Théâtre duRond Point – Paris
coordinamento di produzione e distribuzione Fanny Bouquerel/ Amunì