Brasile e nuvole

vittoria-teatro-romaAl Teatro Vittoria, Beppe Severgnini dimostra come persino l’impasse del ritrovarsi bloccati in un aeroporto possa mutare il nostro destino. E tra ironia zen ed elenchi alla Saviano, il citazionismo postmoderno diventa protagonista.

Ci sarà pure un motivo se il personaggio più citato al mondo dopo Gesù Cristo è Ulisse.
Eppure Ulisse non ha fondato una religione, non ha cambiato il destino dell’umanità. È stato semplicemente se stesso: un viaggiatore.

Potere del suo archetipo immortale se ciò gli ha dato tale universale notorietà, tanta mirabile visibilità. Del resto tra l’essere viaggiatore e fare il turista, si sa, l’abisso è incontrovertibile, incommensurabile. Il viaggiatore si muove con uno spirito radicalmente plasmabile, disposto a cambiare, a non tornare indietro. Non è mai epidermico nel suo contatto con il nuovo che gli è di fronte, e che con gioia egli attraversa, affronta, assimila. Non gli basta un selfie per sentirsi appagato, così come un inconveniente qualsiasi, filtrato dal suo entusiasmo perenne, si trasfigura presto in metafora. Che, ne La vita è un viaggio, al centro dell’attenzione sia soprattutto il viaggio inteso come metafora – insieme al suo contraltare, l’attesa – è evidente, in primo luogo, dalla scenografia dove, tra cambi di luce violenti quanto irreali sciabolate di colore, troneggia un aeroplanino di carta stilizzato ma enorme, incombente sulle poltrone della sala d’aspetto di un terminal come mille.

Stilizzati, infatti, possono essere anche i sogni, pieni di gioco, di fragilità, e, Aristofane insegna, evanescenti al pari di nuvole, effimeri quanto parole, quanto discorsi scambiati tra viaggiatori in procinto di ripartire, magari verso mete non proprio ambite talvolta.
È il caso di Marta (Marta Isabella Rizi), ventotto anni, attrice teatrale disillusa e cinica, diretta svogliatamente in Brasile a incontrare un fidanzato rigidissimo nel recriminarle il ritardo e suo futuro partner potenziale in un piccolo progetto imprenditoriale, asfittico addirittura sul nascere. Bloccata per la notte nell’aeroporto di Lisbona da una selvaggia cancellazione dei voli, la ragazza incontra lo scrittore colto e aureolato di pazienza zen più d’un santo trappista (Beppe Severgnini), da subito assai incline a farle da confessore, da mentore, da padre spirituale e faro nella tempesta esistenzial-emotiva, oltre che da Treccani e dizionario Mereghetti, a considerare i competitivi siparietti tra i due intasati di citazioni letterarie, musicali, cinematografiche…

Non ci vuole infatti Freud per intuire quanto la ragazza sia ormai distante da quel fidanzato freddo che la attende in Brasile, quanto desideri piuttosto sfogarsi, ritrovare se stessa, ricomporre il puzzle del suo io. Come quasi tutti i giovani d’oggi. E a incoraggiarla l’illuminato e paterno Severgnini è impareggiabile: le svela il mantra allitterativo delle quattro virtù decisive per farcela, per avere successo (talento, tenacia, tempismo, tolleranza), le rivela il segreto dell’autentico viaggiatore (ricorrere ai suoi cinque sensi, altrimenti non ti accorgi che «ogni città ha il suo odore»), le confida il tormento del padri, la complessità del gap generazionale genitori/figli, le addita i peccati degli italiani…

Se vi piace il teatro parlato, il dialogo ritmato e insinuante, lo scambio di battute dalla verve un po’ snob e anglosassone, o siete semplicemente fan del sorridente, telegenico, mobile Severgnini – di cui potreste anche avere letto l’omonimo libro – riconoscerete lo stile dei suoi editoriali, leggeri e persuasivi: a tratti provocatori come aforismi di Wilde, a guizzi consolatori come fiabe di Gianni Rodari, da sempre vagamente settecenteschi per l’illuministica grazia che li contraddistingue, e allora sarà massima la vostra gratificazione nell’assistere a La vita è un viaggio. Il vero protagonista è infatti qui il testo, e il paradosso annunciato è che ogni viaggio in fondo sia fatto di movimento sì, però quello aereo, appunto, delle parole, delle associazioni mentali, delle idee ricorrenti, rarefatte, lievi quanto brani musicali. A riguardo bravissima interprete si conferma Elisabetta Spada, viaggiatrice più discosta, meno coinvolta nella catarsi sentimental-divagante dei due protagonisti, benché autentica rivelazione dello spettacolo: della sua voce, calda e magnetica, sentiremo ancora parlare. Forse avremmo preferito qualche canzone in più in italiano. Un Messico e nuvole in versione finto-irlandese ci sarebbe stato benissimo.

Lo spettacolo è in scena
Teatro Vittoria
Piazza Santa Maria Liberatrice, Roma
fino al 31 gennaio, ore 17.30

La vita è un viaggio
di Beppe Severgnini
regia Francesco Brandi
con Beppe Severgnini, Marta Isabella Rizi, Elisabetta Spada
musiche Kiss & Drive
produzione Mismaonda