‘O petomane napoletano

Gino Auriuso, presidente della Fed.It.Art, in occasione della V edizione di Exit – Emergenze per identità teatrali, ha portato in scena La vita mia, la storia mia al teatro dell’Orologio di Roma. Le sue origini influenzate da tanti eventi e da tanti drammaturghi e poeti prima di un lieto evento.

Un po’ come Eric Bogosian – attore, drammaturgo e monologhista statunitense – è solito fare nei suoi spettacoli, anche Gino Auriuso, nel corso della rassegna Exit – Emergenze per identità teatrali, mercoledì 5 dicembre, ha utilizzato solo una sedia e monologhi tra la commedia nera e commenti nostalgico-sociali per il suo show (o meglio per la sua rimpatriata tra amici), al teatro dell’Orologio.
«Come inizio, e se inizio bene, come finisco?» questo si domanda e chiede al pubblico all’interno della sala Grande presentando La vita mia, la storia mia. Per rompere il ghiaccio e riscaldare l’ambiente, visto il freddo che imperversa all’esterno, elenca argomenti che avrebbe potuto trattare come “gli anniversari” e “le nuove tecnologie”, prima che «seduto sulla tazza del cesso il 17 marzo» realizzasse che quella mattina aveva una necessità, un bisogno (non solo fisico): quello di raccontarsi!
Inizia così un viaggio molto personale e discutibile che parte dall’infanzia, «quello stato ipotetico in cui dovremmo sempre esserci» e dall’idea, quasi pascoliana ma meno poetica, che dentro di noi risiede un bambino – che descrive come essere perfetto, inconsapevole di cosa sarà il domani -; mette così alla prova un signore del pubblico, che invita a cullare il bambino che è dentro di sé. Successivamente, chiedendosi chi sia Dio e cosa faccia, prende una scaletta e rende omaggio a Troisi con un monologo in cui interloquisce col Padre Eterno, affermando che solo la scienza dà risposte concrete, essendo le scoperte conclamate, senza offendere i credenti presenti. Una definizione di “medicina” gli offre l’opportunità per ringraziare i medici (a seguito di un brutto momento trascorso) e, invitato un altro dei presenti a sedersi al centro del palco – dopo aver indossato un camice -, riprende nuovamente Bogosian per un monologo ipocondriaco sugli effetti collaterali che possono insorgere durante una cura. Arriva così alle sue origini, e per parlare di Napoli tira in ballo il poeta Ferdinando Russo con i suoi piccanti versi. «Liberatevi!» grida al pubblico un po’ imbarazzato parlando di peti, e mentre dalla regia viene rappresentata la flatulenza, Gino s’appresta a leggere ‘O pireto. «Si mangio pasta e cicere / O pure duie fasule / E’ nu piacere a ssentere / Comme scurregge ‘o culo…», tra risate, applausi e ancora un po’ d’imbarazzo, per concludere la serata con ironia, omaggia un altro suo mito: Stefano Benni, leggendo Lettera a Godzilla. Rivolgendosi a sua figlia, nata il 31 ottobre scorso, emozionato dichiara: «Devo impegnarmi per consegnarti un giorno migliore». Come fossero titoli di coda, sul grande telo al centro della scena, scorrono così le immagini della neonata bimba accompagnate dalla canzone di Jovanotti Il più grande spettacolo dopo il big bang; il momento più bello, che gli ha permesso di finire meglio di come abbia iniziato, diversamente da come aveva previsto.

Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro dell’Orologio
via de’ Filippini, 17/a – Roma
mercoledì 5 dicembre, ore 21.00
(durata 1 ora circa senza intervallo)

La vita mia, la storia mia
scritto, diretto e interpretato da Gino Auriuso