LUdico, Cinico, Corrosivo, Artistico: quando il surrealismo sta in un click, dietro la macchina fotografica c’è David LaChapelle.

Lucca città d’arte ma anche e soprattutto – almeno fino al 4 novembre – una tra le capitali della fotografia grazie alla sua piccola, ma bella mostra dedicata a David LaChapelle.

Sei sale e oltre una cinquantina di scatti per raccontare, attraverso serie ormai famose, la visione della vita e della società contemporanea di uno tra i fotografi-artisti più interessanti degli ultimi 15 anni – un autentico costruttore di immagini e immaginari, surrealista per vocazione, vicino a Gérard Rancinan (la scorsa primavera in mostra alla Triennale di Milano) nella sagace quanto caustica ricostruzione di universi di senso altri, partendo da oggetti comuni, volti e corpi troppo noti, e capolavori indiscussi dell’arte.

Il percorso parte con Star System, serie che proietta una luce diversa sui divi della musica e del cinema statunitense, ritratti all’interno di costruzioni talvolta barocche, spesso surrealiste, con rimandi all’immaginario iconografico pop o cinematografico, e una serie di stilemi che inquadrano perfettamente le loro fobie e le loro ossessioni, frutto di un sistema malato del quale sono i simboli riconosciuti. Si veda, ad esempio, Whitney Houston in preghiera al centro di But Now I See, dove l’instabilità dell’inquadratura, la diagonale e l’uso della sedia, sembrano rimandare alle stanze di Van Gogh e a quell’instabilità emotiva che ha caratterizzato tragicamente entrambi. Oppure Elton John, celebre per le montature dei suoi occhiali decisamente glam, che indossa due uova fritte in quella che pare essere la cucina di casa – dove l’accento ironico si fa inquietante. E ancora, le due opere dedicate a Michael Jackson, così lontane dai tributi in stile Spike Lee (a Venezia con Bad 25): Billie Jean ha ancora le sue scarpette rosse ma le braccia tese rimandano all’iconografia di una Madonna addolorata di fronte al rifiuto del figlio; mentre in Beatification (del 2009) il volto sbiancato e tirato dai lifting di Jacko si staglia su una specie di Paradiso Terrestre dove Eva è abbigliata sontuosamente, circonfusa di bianca purezza – sebbene ai suoi piedi si srotoli il serpente – e Jackson, accanto a lei in eterno, mostri allo spettatore un orologio, simbolo del tempo che trascorre inesorabilmente nonostante quel volto plastificato e la pretesa paradisiaca.

Altra costruzione fotografico-pittorica estremamente interessante per i suoi rimandi all’immaginario cinematografico è il Bad Boy, Sean Puffy Combs (del ’99), che si atteggia a macho afro-americano ostentando tutto l’armamentario kitsch proprio del caso – dall’orologio alla catena”zza” al collo, dal tatuaggio all’espressione hard – mentre si allontana da una venere nere con capelli anni 70, doverosamente afro, e corpo dorato in stile Agente 007 Missione Goldfinger.

Realtà o finzione? Qual è il volto di una star se non quello che mostra ai suoi fan per continuare a cavalcare la tigre del successo? Oppure è tutto un bluff, come sembra ammiccare una Naomi Campbell nuda, più stanca e vuota che sexy?

Tra le altre opere in mostra, Cathedral (che fa parte della serie Deluge), dove lo sguardo diretto all’osservatore della bambina – sguardo insieme personale e collettivo di una generazione che accusa noi, spettatori, di quel diluvio che inevitabilmente ci attende – rimanda con ferocia e innocenza a un altro sguardo “d’autore”: quello della protagonista di Le déjeuner sur l’herbe di Manet.

E se non bastasse, come evitare di soffermarsi sulle nature morte eminentemente barocche della serie Earth Laughs in Flowers, costruite con oggetti del quotidiano, dal surgelato all’arancia quasi marcia, che ricordano inevitabilmente la caducità della vita. Sublime il sarcasmo acido nei confronti dei valori della contemporaneità del rotolo di carta igienica accanto alle medicine e ai tubi da ospedale, esempi di un universo incellophanato che tenta di preservarsi inutilmente dalla morte e dalla corruzione dei corpi.

Si notino, ancora, Flaccid Passion – dove la complessità degli oggetti si trasfigura in un volto alla Arcimboldi – e The Lovers – qui la vena surrealista è talmente esplicita da mettere bellamente in mostra un piede alla Magritte. Altrove imperversano le atroci bambole dallo sguardo vuoto, forse trasposizione personale dei manichini di De Chirico.

Per la serie Dream Evokes Surrealism è inquietante l’accostamento tra immagine: un modellino di aeroplano; e titolo: Security. La foto-composizione, del ’96, assurge stranamente a incubo o sogno premonitore?

Lascia leggermente perplessi – di una mostra tanto curata – la spiegazione di Amanda as Andy Warhol’s Liz in Red (che descrive chiaramente un’altra opera di LaChapelle, ovvero Amanda as Andy Warhol’s Marilyn), confondendo il ritratto di Amanda Lepore nei “panni” di Liz Taylor con quello della stessa nel “ruolo” di MM.

Infine due chicche come le opere di Negative Currency e, per la serie Excess, Morality Play (del 2000), parodia atroce della mamma anni 50 che impasta biscotti fallici insegnando alla figlia-bambina come usare mattarello e guanti. Tra denuncia dei vizi e smascheramento dell’ipocrisia sociale.

Una mostra intensa, ricca di spunti, che va gustata con tranquillità perché dietro a ogni immagine si nasconde una costruzione talmente ricca di rimandi e profonda di significati da conferire, giustamente, a LaChapelle un posto tra gli artisti più interessanti delle arti figurative e non solamente della fotografia.

La mostra continua:
David LaChapelle
Lu.C.C.A. Lucca Center of Contemporary Art
via della Fratta, 36 – Lucca
fino a domenica 4 novembre
orari: da martedì a domenica ore 10.00-19.00 (la biglietteria chiude un’ora prima)
www.luccamuseum.com
a cura di Maurizio Vanni
una produzione di Arthemisia Group