La frenetica immobilità della borghesia

AL Teatro Sala Fontana è andato in scena L’albergo del libero scambio in una versione che la regia di Marco Lorenzi e la riscrittura di Davide Carnevali hanno saputo aggiornare ai nostri tempi, rendendo il classico di Feydeau ancora più godibile ed esilarante.

«L’Hotel del Libero Scambio è una delle pièces più spassose che si siano mai viste da molti anni a questa parte. La prima sera il successo è stato talmente travolgente che, durante il secondo atto, si è verificato un fenomeno a cui avevo assistito solo una volta in vita mia, il giorno della prima di Le sorprese del divorzio di Alexandre Bisson: le folli risate che hanno colto e scosso l’intera sala erano così rumorose da rendere inudibile qualsiasi parola pronunciata dagli attori sul palcoscenico, e l’atto si è concluso come una pantomima. […] Dal punto di vista tecnico, non esiste niente di più stupefacente de L’Hotel del Libero Scambio». Questo è un estratto dalla recensione dello spettacolo di Francisque Sarcey datato 10 dicembre 1894: assistendo alla versione di Marco Lorenzi (regia) e Davide Carnevali (riscrittura) non viene da pensare nulla di molto diverso.

Lo schema delle opere di Feydeau è quasi sempre identico: coppie borghesi che si tradiscono a vicenda e che compiono infinite e rocambolesche peripezie pur di nascondere tutto sotto il tappeto, ripristinando l’ipocrita status quo iniziale. Ma quello che rende davvero brillante questo testo è la fantasia drammaturgica con cui gli equivoci vengono incastrati alla perfezione rendendo l’opera un ingranaggio perfetto; la genialità lessicale con cui Feydeau spazia tra doppi sensi, giochi di parole, calembour, battute al fulmicotone: la bellezza di questa versione del riuscitissimo duo Lorenzi – Carnevali non è stata solo quella di rendere al meglio la tessitura testuale originaria, già esilarante di suo, ma sopra ogni cosa la capacità di aggiornare questo testo in modo da renderlo godibile a un pubblico di oggi. L’aggiornamento non consiste solo nell’aver messo riferimenti culturali attuali (Tripadvisor, Google maps, un accenno alle mode dei salotti borghesi new rustic), quanto e soprattutto nel non aver ceduto a una rappresentazione stantìa, tranquillizzante e narcotizzante come spesso si fa con i grandi classici.

La domanda dalla quale il lavoro ha preso vita è stata: “cosa significava per la borghesia di quel tempo vedersi messa in scena così?”, per questo Carnevali e Lorenzi hanno lavorato su una drammaturgia e su una scenografia che ridesse allo spettatore lo stesso deflagrante cortocircuito. Il senso del testo può vivere solo se la borghesia di oggi può rivedersi in quello che succede in scena e ridere delle sue stesse contraddizioni, non di quelle della Francia di fine ‘800.

Tutto questo ovviamente non sarebbe stato realizzabile senza una squadra di attori formidabili: impossibile dire che ci sia stato qualcuno che abbia primeggiato sugli altri, e questo è decisamente un bene perché, in opere come L’albergo del libero scambio, nulla è meglio di un totale affiatamento dell’intero cast e una capacità di ascolto e d’interazione che valorizzano il perfetto meccanismo a orologeria della migliore tradizione del vaudeville. Ognuno degli attori in scena ha saputo rendere al meglio tanto le difficoltà lessicali quanto le prove fisiche cui spesso i personaggi sono sottoposti, riuscendo soprattutto a valorizzare quelle esigenze mimiche che spesso sono necessarie per rendere perfetti i doppisensi e i giochi di parole di cui il testo è ricco.

Non rimane che un’ultima valutazione possibile: imperdibile.

Lo spettacolo è andato in scena presso
Teatro Sala Fontana
via Boltraffio 21, Milano

L’albergo del libero scambio
da Georges Feydeau
riscrittura di Davide Carnevali
con Elio D’Alessandro, Federico Manfredi, Barbara Mazzi, Silvia Giulia Mendola, Alba Maria Porto, Yuri D’Agostino, Roberta Calia, Raffaele Musella
regia Marco Lorenzi
scene Nicolas Bovey
costumi Erika Carretta
luci Francesco Dell’Elba
musiche originali Elio D’Alessandro
regista assistente Yuri D’Agostino
foto di scena Giuseppe Distefano
produzione Il Mulino di Amleto / Tedacà