Una storia di follia e di fuoco

opera-de-lyonLa stagione lirica dell’Opéra di Lyon si è aperta con L’ange de feu, l’opera postuma di Prokofiev per troppo tempo dimenticata. Una scelta che ha colto nel segno, accolta con grande entusiasmo tanto dal pubblico quanto dalla critica.

L’ange de feu possiede una storia travagliata e à baton rompu, quasi un sentimento speculare alla tematica dell’opera: una follia totalizzante che abolisce il concetto di proficuità. Nel 1919 Prokofiev scopre il romanzo eponimo di Valéri Brjusov, pubblicato dodici anni prima sulla rivista Vesy e inizia a lavorare ad libretto. Ma il concepimento dell’opera sarà difficoltoso proprio per la situazione nella quale si trova il compositore in quel momento. Trasferitosi negli Stati Uniti, Prokofiev subisce le critiche e le ironie dei critici americani dell’epoca. Il compositore decide quindi di ritirarsi in un piccolo villaggio delle Alpi bavaresi per lavorare assiduamente all’opera, in particolar modo per quanto riguarda la partitura. Il lavoro giungerà al termine solo nel 1926 ma la prima rappresentazione avverrà solo dopo la morte del compositore, nel 1954 al Théâtre des Champs-Elysées a Parigi, e in francese. La prima rappresentazione scenica avrà luogo alla Fenice l’anno successivo, sotto la direzione di Nino Sanzogno e con la regia di Giorgio Strelher, mentre la prima rappresentazione originale avverrà solo nel 1981 a Praga.

Ruprecht (Laurent Naouri) è un cavaliere di ritorno dalle Americhe e, deciso a fare tappa in una modesta locanda tedesca, si interroga sulle urla provenienti dalla stanza adiacente. La regia di Benedict Andrews immagina questo ascolto e questa follia attraverso la moltiplicazione dei due personaggi, creando un vortice umano mascherato e inquietante. Facendo irruzione in essa, il cavaliere scopre una donna, Renata (Ausrine Stundyte) parzialmente svestita – rappresentata qui come una prostituta (i costumi i Victoria Behr producono un forte effetto di straniamento durante tutto lo svolgimento dell’opera) che prega una forza invisibile di lasciarla in pace. Gettandosi nelle braccia di Ruprecht, Renata lo chiama per nome e questo terrorizza il cavaliere che si interroga su questa strana magia. La visione (che appartiene solo a chi la subisce) di Renata ci permette di sentire immediatamente la temperatura della drammaturgia e si avvicina pericolosamente all’isteria e all’epilessia. Ruprecht interviene più che come un cavaliere salvatore, come un esorcista invocato dalla stessa posseduta. Renata si trova, dunque, a raccontare la sua visione e la propria persecuzione/fissazione per questo essere sovrannaturale. Ecco che la scena diviene una ruota di souvenir dolci e inquietanti, accompagnati dall’angelo di fuoco, Madiel, solito giocare con lei fino a quando, la giovane Renata inizia a provare il desiderio di unirsi carnalmente con lui. La promessa dell’angelo è quella di tornare dopo un anno, sotto le sembianze umane. Renata crede di ritrovare il suo angelo nel conte Heinrich con il quale vive un’intensa relazione. Ma Renata verrà lasciata dal conte e da quel momento ella vive in preda alle allucinazioni. La locanda non è più il luogo dove sostare tranquillamente, e consigliati da una veggente (Mairam Sokolova) inviata dalla locandiera (Margarita Nekrasova), Renata e Ruprecht decidono di partire a Colonia alla ricerca del conte.

La scenografia concepita per il secondo atto è quanto di più minimalista e tagliente vi possa essere e provoca uno slittamento di senso e una non perfetta aderenza tra il testo e la realizzazione scenica. Colonia è ridotta ad una lingua di terreno che fende la scena e ciò provoca un effetto affatto disturbante ed estremamente arricchente. La ricerca del conte è sterile ma Ruprecht riesce a incontrare il sapiente e mago Agrippa di Netteshein (Dmitry Golovnin), senza che questi possa rivelargli i segreti della magia. La scelta di vestire Agrippa come un mago di cabaret ci palesa la chiave di lettura scenica dell’opera: la discrasia testo-immagine è l’innovazione e la mescolanza epocale, una linea sensibile lanciata all’interno del tempo che non rispetta la filologia per aprire l’opera ad una lettura trasversale incessante.

La follia visionaria di Renata cresce di importanza e di influenza e il povero Ruprecht è ridotto a schiavo delle minacce e dei desideri della protagonista. Egli è incitato a sfidare a duello il conte Heinrich ma, alla vigilia del giorno stabilito, Renata lo implora di lasciarlo vivere poiché egli è il suo angelo di fuoco. Ruprecht riuscirà a sopravvivere miracolosamente al duello. Mossa dalla compassione e profondamente colpita dalla drammatica scena, Renata dichiara il proprio amore per il valente cavaliere.

L’instabilità decisionale di Renata è la forza dinamica dell’opera, ciò che la fonda e che la mantiene nella sua tensione. Dopo essersi dichiarata a Ruprecht, Renata cambia idea ed è risoluta a farsi suora per scampare al diavolo (che ora vede in Ruprecht) e per salvarlo dalla dannazione. Si apre quindi, in mezzo all’opera, uno spazio che accoglie una scena apparentemente decontestualizzata. Sulla piazza di Colonia, Faust (Taras Shtonda) e Mefistofele (Dmitry Golovnin) disquisiscono sul carattere fittizio delle cose umane. Quest’ultimo divora il figlio del padrone della locanda, facendolo in seguito apparire nel bidone della spazzatura poco più lontano. La discrasia testo-immagine continua anche qui: se i clienti ordinano vino, essi ricevono una volgare lattina di birra.

L’ultimo atto è un crescendo epico e drammatico e la perfetta direzione dell’orchestra del maestro Kazushi Ono sottolinea veementemente la forza della partitura di Prokofiev. Le suore de convento formano un coro greco a due voci che didascalizza i sentimenti e le azioni che si svolgono sulla scena. L’inquisitore (Almas Svilpa) chiamato per indagare sugli strani fenomeni che stanno avvenendo nel convento, vestito come un semplice prete di provincia, interroga le novizie che iniziano a mostrare i segni di una possessione demoniaca. La follia di Renata si rivela essere una malattia pandemica che si sparge e che ingloba tutto. Sotto gli occhi di Faust e Mefistofele, accompagnati dall’impotente Ruprecht, le forze del male divorano tutto. Il convento è posseduto e l’inquisitore diviene egli stesso vittima del potere occulto. Egli si rivela l’angelo del fuoco mentre Renata scompare tra le fiamme del rogo purificatore.

La prima di L’ange de feu si chiude qui, tra gli applausi e i “Bravo” dell’esigente pubblico lionese, conquistato da quest’opera perfettamente riuscita.

Le public lyonnais a accueilli avec enthousiasme l’opéra L’ange de feu de Prokofiev dans la courageuse et audacieuse mise en scène de Benedict Andrews. Un succès mérité pour un opéra posthume du compositeur russe qui a inauguré la saison à l’Opéra de Lyon.

Lo spettacolo va in scena:
Opéra de Lyon
Place de la Comédie – Lione
martedì 11, giovedì 13, sabato 15, lunedì 17, mercoledì 19 e venerdì 21 ottobre ore 20.00, domenica 23 ottobre ore 16.00

L’Opéra de Lyon presenta
L’ange de feu
di Sergej Prokofiev

opera in cinque atti, 1954 (versione concerto), 1955 (versione scenica)
libretto di Sergej Prokofiev, dall’opera di Valerij Brjusov
in russo

direzione musicale Kazushi Ono
messa in scena Benedict Andrews
collaborazione artistica alla messa in scena Tamara Heimbrock
drammaturgia Pavel B. Jiracek
decoro Johannes Schütz
costumi Victoria Behr
luci Diego Leetz
direttore dei cori Philip White

Ruprecht Laurent Naouri
Renata Ausrine Stundyte
la locandiera Margarita Nekrasova
la veggente / madre superiora Mairam Sokolova
Jakob Glock Vasily Efimov
Agrippa von Nettesheim / Méphistophélès Dmitry Golovnin
Faust Taras Shtonda
servitore / l’oste Ivan Thirion
inquisitore / Heinrich Almas Svilpa

orchestra e cori dell’Opéra de Lyon
produzione della Komishe Oper de Berlin

www.opera-lyon.com