Angelheaded Hipsters

Teso, stridente, sordo, scostante, triste ma non troppo, L’angelo abietto de Le Belle Bandiere dilata le pupille, intorpidisce le dita, fa battere i piedi a mezzo tempo, smuove le orecchie insieme con la testa, lentamente, e prima che il sorriso affiori tra le labbra, lascia che il pneuma trascini l’anima tra le spire metalliche e la ingabbi nelle maglie fumose del jazz.

Al funerale del trombettista jazz più famoso del mondo non si presentò nessuno. Le poche, 35, persone che si fecero vive, assistettero però all’immersione del corpo ceruleo e macilento di Chesney Henry Baker Jr. nelle fauci della terra. Lui, che si era mangiato tutto quello che la vita aveva da offrire, veniva fagocitato dalla vita stessa, lasciandosi dietro solo schegge di vetro e petali di rose bianche sul suolo nero come una notte senza stelle. Alla commemorazione funebre del trombettista jazz più famoso del mondo siamo pochi intimi, ancora una volta. Come se ammettere apertamente la propria ammirazione per un vero e proprio angelo abietto sia una dichiarazione fin troppo impudica per i nostri tempi.

Accanto alla lapide floreale, Marco Sgrosso indossa per qualche momento i panni forse esageratamente stirati del fu Chet e, con volto da fanciullo imberbe, narra con candore la spirale di autodistruzione della «faccia d’angelo cuore di demonio» di Yale, Oklahoma. Il trio che accompagna la veglia – un sublime Felice del Gaudio (contrabbasso), un camaleontico Nico Menci (pianoforte) e un sorprendente Guido Guidoboni (tromba) – rende giustizia alle note rotte del pugile d’ottone, riuscendo addirittura a far risuonare tra le pareti del Piccolo Teatro del Baraccano lo stesso lirismo dannato di Baker.

Tra scopate cerebrali con bionde a Hermosa Beach, cacce di coralli a Palos Verdes, incarcerazioni sfrenate, abbuffate di tacos con il “Bird” e silenzi statuari dal durissimo Davis, le parole calibrate al millimetro dell’attore piegano l’immaginario a nuove affabulazioni mentre la tromba traccia i passi di una corsa appresso ai conigli nel sottobosco, delinea le ombre di un fienile paterno e stempera il freddo invernale nell’acqua lacustre della primavera. Lo strumento, simbolo di «alterità e distanza», conduce il pubblico in un viaggio musicografico che ridà nuovo fulgore a un artista talvolta troppo infangato, seppur mai dimenticato.

L’emozione smossa tra gli astanti rimane a mezzo camino tra la commozione per un genio perduto e una macabra curiosità per un uomo che, dopo tutto, non era mai riuscito a gestire le luci della ribalta senza un piccolo aiuto da quella “angry fix” ginsberghiana, quell’estasi sativa e venosa che trasformava l’asfalto in gomma e le note in fuochi d’artificio. L’angelo abietto rievoca il suono del fumo che sale verso il cielo per non andare da nessuna parte e omaggia con un connubio (mai facile) di virtuosismi sonori e vocali una di quelle meteore che fortunatamente sfiorano il nostro triste mondo e ci illuminano tutti, nei secoli dei secoli.

Lo spettacolo è andato in scena all’interno di Atti sonori
Piccolo Teatro del Baraccano
via del Baraccano 2 – Bologna
venerdì 21 e sabato 22 ottobre, ore 21.00

L’angelo abietto – dedicato a Chet Baker
concerto di parole e suoni per voce e trio
mise en espace, drammaturgia e voce Marco Sgrosso
contrabbasso Felice Del Gaudio
tromba Guido Guidoboni
pianoforte Nico Menci
un progetto Le Belle Bandiere
con il sostegno di Regione Emilia-Romagna e Comune di Russi