Tra Pontelagoscuro e Ferrara, si è svolto il progetto Totem Scene Urbane. Tre giorni di eventi performativi e di dialogo tra realtà artistiche e professionali interessate a «individuare strade nuove di intervento dell’arte nelle città».

Non un semplice festival, dunque, quello organizzato da Teatro Nucleo, storica compagnia di Terzo Teatro con sede al Teatro Julio Cortàzar di Pontelaguscuro.

Natasha Czertok, ideatrice e direttrice artistica, ha infatti pensato Totem Scene Urbane quale «evoluzione ideale di Totem Arti Festival», un progetto nel quale e con il quale promuovere concretamente un dibattito sulla condizione e sulle modalità attraverso le quali l’arte si insedia nel tessuto urbane e dà vita a processi di contaminazione – la cui complessa decifrazione continua a essere tutta da indagare. Per questo, ci limiteremo a un breve appunto alla messa in scena di Domino, allestimento distopico di Teatro Nucleo, per poi lasciare più ampio spazio al Dialogo tra arte e spazio urbano di sabato 21 settembre.

Se una regia ancora da affinare (tanto nelle geometrie attoriali quanto nella composizione ritmica), una messa in scena didascalica e retorica nel finale (la pur struggente Il pianto della scavatrice di Pier Paolo Pasolini) e interpretazioni disomogenee tra loro compongono uno spettacolo con evidenti margini di miglioramenti, dunque ben lontano da un proprio formalismo scenico, a perplimere è la curvatura ideologica con cui Domino critica il pensiero dominante e omologante del nostro tempo e intende «portare queste problematiche nello spazio pubblico, con un linguaggio in grado di comunicare con un pubblico vasto». Perplime perché, nell’utilizzare – per esempio – le keywords limiti e confini in maniera unilateralmente negativa, mostra di soffrire della stessa dipendenza da un orizzonte culturale che pure vorrebbe contestare, quello in cui l’identità e la relazione si definiscono attraverso l’esclusione del negativo.

Eliminare il problema contestando senza se e senza ma chi afferma l’esistenza dei confini commette un grave errore di ingenuità, dimenticando come, nel mondo reale e non in una dimensione romanticamente ideale, le società e gli individui debbano vivere in maniera organizzata, tanto più considerata l’imperante globalizzazione. Elusa qualsiasi realistica ipotesi di cambiamento sociale nell’anelito a una visione semplicistica (secondo la quale basterebbe eliminare i confini e i limiti – fatto letteralmente impossibile – per avere un mondo migliore), Domino descrive per contrarietà un meccanismo di semplice sopravvivenza, non l’utopia di un rinnovato umanismo capace di rappresentare un’autentica minaccia per le disumane strutture del sistema neoliberale.

Rigenerazione, riqualificazione, riattivazione, cambio di prospettiva: sono state queste le parole che hanno animato il Dialogo tra arte e spazio urbano, dibattito moderato da Michele Pascarella, con «docenti universitari e operatori culturali, fotografi e architetti, registi e attivatori territoriali» che hanno dialogato sulle dinamiche che sottendono il rapporto tra arte e territorio nel momento in cui la prima si innesta tra le pieghe del secondo.

Dopo una breve introduzione di Horacio Czertok  sul valore positivo del conflitto (se di idee e di posizione politica, «non va ucciso o reso invisibile» come spesso accade nei nostri tempi bui), il confronto si è svolto significativamente sull’aspetto teorico, ma il clou si è concentrato nel momento dell’esposizione di alcune esperienze di riattivazione artistica di contesti urbani eterogenei, dagli esterni urbani alle abitazioni private, rappresentate da Anna Gesualdi per Altofest, Federica Rocchi per Periferico e Chiara Tabaroni per S.I.A., oltre che, ovviamente, la stessa Natasha Czertok per Teatro Nucleo.

La loro partecipazione ha difatti dimostrato come, nonostante le difficoltà e le resistenze, esistano concretamente delle pratiche funzionali nell’abbandonare il concetto statico e tradizionale di location e, di conseguenza, capaci di farsi azione nella contemporaneità viva dell’ambiente cittadino.

La mattinata si è aperta con un’analisi di Franco Farinelli su quella che lo stesso geografo aveva definito, in una sua felice pubblicazione editoriale, la crisi della ragione cartografica.

Concentrandosi sulla complessità del fenomeno della globalizzazione – definito il primo momento nella storia in cui umanità ha iniziato a considerare la Terra come un globo e non una semplice mappa e, dunque, ha dovuto fare i conti con la reale interconnessione di fenomeni che solo apparentemente possono essere considerati locali, così sconvolgendo la maniera tradizionale di intendere lo spazio e il tempo – Farinelli ha ribadito come la conoscenza geografica sia un atto culturale tutt’altro che neutrale (basti immaginare quanto sia stato storicamente arbitrario e  pericoloso tracciare confini tra Stati) e come, di conseguenza, ripensare il territorio sia un’attività politica tanto fondamentale quanto radicale e doverosa.

A seguire, l’interessante contributo Werther Albertazzi, attivatore territoriale e presidente dell’Associazione Planimetrie Culturali, che ha riportato l’esperienza dell’Ex Macello di Bologna – uno spazio dismesso e ai margini della città felicemente riaperto alla cittadinanza locale e alle associazioni di quartiere – cui venne data nuova vita attraverso un’operazione di «riciclaggio urbano» e un servizio di gestione temporanea in attesa dell’assegnamento definito.

Densa anche la riflessione di Nicola Marzot, articolata in tre parti: la prima sulla questione della rete quale fattore di trasformazione e trasmissione di informazioni e persone, nonché di mobilitazione tramite infrastrutture materiali e immateriali; la seconda, sulla critica alla concezione di una società interamente amministrata in maniera dirigista; la terza, sulla riqualificazione e sulla rigenerazione delle aree in disuso e dei luoghi periferici alla luce di una chiara distinzione dei termini in relazione al tema della demolizione dell’esistente. Nonostante siano vicini tra loro, i due concetti implicano una netta distinzione – ricorda Marzot – per quanto riguarda la gestione dello spazio urbano e le azioni di recupero delle aree più degradate e, se la rigenerazione richiede la demolizione del vecchio e la costruzione di un nuovo, la riqualificazione muove, invece, da un’operazione di recupero e valorizzazione del patrimonio già esistente anche mediante azioni di tipo culturale, sociale, economica e ambientale.

A chiusura della prima parte della mattinata, l’antropologo Giuseppe Scandurra ha voluto sottolineare la necessità di una valutazione concreta dei risultati effettivi delle tante realtà che si occupano di rigenerazione e riqualificazione urbana.

Dopo una breve pausa, sono intervenute per il versante prettamente teatrale, Natasha Czertok, Anna Gesualdi, Federica Rocchi e Chiara Tabaroni con la presentazione dei rispettivi festival e delle diverse declinazioni di una ricerca volta a stabilire un nuovo e anticonvenzionale rapporto tra individuo, collettività e ambiente.

Senza entrare nello specifico dei singole realtà, ognuna delle quali ormai di lunga data, dalle loro affinità e divergenze su come il mestiere dell’arte possa riattivare la città sono emersi tre punti fondamentali: in primo luogo, la testimonianza reale di una volontà diffusa di chi non intende crogiolarsi su un’impostazione meramente teorica del problema; in secondo luogo, quanto promuovere il livello di sensibilizzazione delle comunità locali sia una problematica trasversale (ma stimolante); infine, quanto – a supporto della necessità di mantenere vivi spazi diversi da quello teatrale coinvolgendo il territorio – sia fondamentale far emergere momenti di condivisione e di confronto come quello promosso da Teatro Nucleo.

A chiusura della lunga mattinata, la proiezione del documentario del collettivo 7-8 chili nel Mercato Albani, realizzato su commissione di perAspera Festival con delle interviste popolari sul significato e il valore del concetto di limite; la restituzione del reportage su Domino di Teatro Nucleo a Plovdiv in Bulgaria, Capitale Europea della Cultura 2019, da parte di Vittoria Lombardi e Selene Magnolia; il travolgente «racconto dei laboratori rap intergenerazionali» del rapper Lanfranco Vicari, aka Moder, un’esperienza che ha reso visibile il grande lavoro e le specifiche avversità, ma anche soddisfazioni, di un progetto in grado di testimoniare quanto sia urgente e necessario avviare una seria, pubblica e permanente discussione sul riconoscimento sociale del lavoro d’artista.

L’intera mattina ha allora dimostrato quanto profondo e urgente sia il bisogno di creare momenti in cui il confronto tra buone pratiche già in essere possa promuovere una rinnovata cura della nostra stanca e lacerata civiltà.

Ad maiora.

Il convegno è andato in scena
Teatro Julio Cortàzar
via Ricostruzione 40 Pontelagoscuro, Ferrara
sabato 21 settembre 2019, ore 9.30-17

9.30 – 9.45: apertura e saluti
9.45 – 10.45: Cos’è un territorio? Cosa significa rigenerazione? L’arte in movimento può essere uno degli strumenti della rigenerazione urbana?

Dialogano: Prof. Franco Farinelli, geografo; Prof. Giuseppe Scandurra, antropologo; Werther Albertazzi, attivatore territoriale; Nicola Marzot (architetto)

10.45 – 11.00 Coffee break

11 – 12: I Festival nel tessuto urbano (e non solo)
Dialogano: Natasha Czertok – Totem Scene Urbane (Ferrara); Anna Gesualdi – Altofest (Napoli); Federica Rocchi – Periferico (Modena); Chiara Tabaroni – S.I.A. (Casalfiumanese)

12 – 13: Esempi di intervento dell’arte sui territori
Dialogano: perAspera Festival (Bologna), Vittoria Lombardi (curatrice) e Selene Magnolia (fotografa), Moder

Lo spettacolo è andato in scena
Consorzio Wunderkammer
Via Darsena, 57, Ferrara
sabato 21 settembre 2019, ore 9.30-17

Domino
regia Natasha Czertok
con Giovanni Iaria, Marco Luciano, Greta Marzano, Martina Pagliucoli, Veronica Ragusa, Francesca Tisano, Riccardo Sergio
musiche The Busy Bee, Balanescu Quartet, Steve Reich, Alessio Bettoli, Alfonso Santimone
scenografie Teatro Nucleo, RedoLab artigiani del riutilizzo, Luca Bernasconi, Giovanni Iaria
sartoria Chiara Zini
inserti video Riccardo Sergio
parte tecnica Alessio Bettoli, Giovanni Iaria, Marco Luciano
voci off per la versione bulgara Anna Dimitrova
ringraziamento speciale a Giulia Lampignano, Nicole Calligaris
si ringraziano lo studio Sonika di Ferrara, il service Suono e Immagine di Ferrara, il fotografo Daniele Mantovani