Qualche giorno fa mi è capitato di assistere ad uno spettacolo di teatro integrato, cioè una messa in scena ove agiscono anche dei portatori di handicap. Non si trattava della mia prima esperienza: per scelta, per interesse professionale, ne ho visti moltissimi.

Il testo era interessante e non privo di una certa originalità. L’autore, che aveva curato anche la regia, è persona di talento, stimabile anche per l’interesse sincero verso questo tipo di lavoro, per la sensibilità al sociale, che ha dimostrato in più di un’occasione. E anche la compagnia che ha prodotto lo spettacolo, è apprezzabile per l’impegno civile che informa le sue scelte artistiche.
Fare nomi sarebbe irrilevante, perché non è questo il punto. Il fatto si è che, ancora una volta, sono uscito dal teatro con un profondo disagio, che però, a differenza del passato, ho lasciato fluire liberamente, e ho cercato di razionalizzare.
So benissimo quanto sia importante, per quei ragazzi, abbattere, per una sera, le barriere che li separano dai cosiddetti normodotati, ricevere applausi, illudersi di essere veri attori. Sicuramente la cosa ha una valenza terapeutica, quantomeno in termini di miglioramento della loro qualità della vita. Sono convinto che una delle più geniali invenzioni di Ibsen sia “la menzogna vitale” (la teorizza, per chi non lo ricordasse, il dottor Relling, sul finale de L’anitra selvatica); e alzi la mano chi non si è mai costruito una menzogna vitale per aiutarsi a vivere.
Ma, parlando da spettatore, ho apprezzato senza riserve il teatro integrato solo quando si sono verificate certe condizioni: quando l’integrazione tra portatori di handicap e normodotati era tale da far fatica a distinguere gli uni dagli altri, e veniva naturale non porsi neppure la domanda; o quando ho scoperto nell’attore diversamente abile un gesto, un’azione, un’espressione, teatralmente rilevante, che rendesse necessaria (di quella necessità di cui parlano i maestri, che può investire anche la battuta apparentemente più banale) la sua presenza in scena.
Se questo non avviene, quelle esperienze continuano ad avere un valore umano e sociale, ma non confondiamole con il teatro.

Lumpatius Vagabundus