L’anima innamorata del rock

Al Cometa Off di Testaccio, il reading musicale Lasciatemi libera, in scena dal 22 al 24 febbraio scorsi, ha svelato una Patti Smith segreta: spirituale, intimista, perdutamente innamorata del suo compagno e del mondo intero.

La sua grazia l’ha espressa anche sul palco di Sanremo con Because the Night, un brano che l’industria musicale ha fin troppo sfruttato e cannibalizzato. Ma Patti Smith è più di un tormentone rock. Chi la conosce davvero? Graffiante e tenera, inflessibile e romantica, americana ed ecumenica, la grande poetessa rock di Chicago svela il suo vero cuore in Lasciatemi libera – Omaggio a Patti Smith, reading musicale scritto e diretto dal musicista Alessandro Fea, e andato in scena dal 22 al 24 febbraio al Cometa Off, per la rassegna LET – Liberi esperimenti teatrali. Una vibrante cucitura di testi autobiografici, vecchie poesie della Smith, e tante canzoni: cantate, declamate o urlate, alcune in versione originale, altre tradotte in italiano.
Nel piccolo, intimo teatro di Testaccio, la cantante Nina Ricci entra scalza, camicia grigia e bretelle da uomo, i lunghi capelli selvatici fermati sulla fronte dall’unico vezzo di una molletta da bimba. Accompagnata dal vivo dalla chitarra e dal basso di Alessandro Fea, Ricci interpreta con ispirazione una Smith inedita: donna fragile ma combattiva, che ha sempre creduto nel «potere dato alla gente», nell’amore «puro» e nella famiglia – l’amato marito Fred “Sonic” Smith, la loro figlia. Un’artista, divenuta un’icona politica suo malgrado, che rivendica il proprio ruolo di artista oltre le etichette di “sacerdotessa del rock” o di “madrina del punk”. E che grida: «Lasciatemi libera di essere quel che sono davvero…».
In questo viaggio di parole e musica, Nina Ricci bisbiglia, geme, urla e canta classici da brivido come Dancing Barefoot a Pissing in a River a Revenge. Il volano dello spettacolo è la sua voce, potente, cavernosa, maschile e pulita, da ragazza, molto simile a quella della poetessa americana.

Nel recital di Fea, Patti Smith racconta il passaggio da un’infanzia dorata, disciplinata dalla musica classica (ma folgorata dalle note furiose di Tuttifrutti), ai primi anni Settanta a New York, quando – giovane madre spiantata – dorme in metropolitana, dipinge e scrive poesie ardite e segrete, che mostra per la prima volta ad Allen Ginsberg. Il debutto musicale avviene quando un suo reading si tramuta all’improvviso in «un fiume di emozioni», accompagnato dalle distorsioni di uno sconosciuto chitarrista biondo – è Lenny Kaye, che le resterà fedele per sempre.
Questi «ritmi, che dalla carta scorrevano sull’intonaco», si sposano finalmente a una mitica Fender del ’57, acquistata usata (e forse appartenuta a Jimi Hendrix). In quegli anni, la chitarra elettrica, imbracciata al posto della mitragliatrice, dà un nuovo senso alla parola “soldato”, e assegna un’enorme responsabilità all’artista verso il resto del mondo: «Non ho mai pensato di essere una politica», afferma Patti, «ma ho sempre voluto comunicare qualcosa. Sono americana e amo i principi su cui si fonda il mio Paese». E, più di ogni discorso, valgono i versi di People have the Power. «La gente ha il potere!», grida Nina-Patti, con voce quasi rotta dal pianto, «Il potere di governare, di liberare il mondo dagli stupidi. Sull’umile piove la grazia. Possiamo mutare la rotazione del mondo!».
Ma c’è anche una Patti meno epica, più fragile, intimista e vicina. Il vuoto della morte la inghiotte alla scomparsa delle persone a lei più care. Perde gli amici Allen Ginsberg e William Burroughs, fondatori incompresi della beat generation e suoi padri spirituali, e Robert Mapplethorpe, vittima dell’Aids. Ma soprattutto scompare il suo amato Fred, che per lei non si era mai risparmiato e le era rimasto accanto sul palco fino all’ultimo. Questa morte la schianta, come avrebbe schiantato qualunque donna. E lei cerca «un appiglio a qualcosa, all’arto di un albero, alla mano di lui. Perché la morte non può essere ridefinita, perché dobbiamo pregare urlando?».
La risposta al dolore è una canzone sull’amore che dura per sempre, dedicata a Fred, l’uomo che l’aveva accudita senza mai chiederle nulla. La risposta è, ancora una volta, nella musica e nell’amore universale, «un banchetto di cui ci nutriamo»: l’amore per un marito e una figlia, per la poesia, per l’arte che rivoluziona il mondo. «Holy! Holy! Holy!»: in un crescendo quasi mistico, il grido di Spell è impellente: ogni cosa è sacra, ogni uomo è un angelo.

Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro Cometa Off

via Luca della Robbia, 47 (Testaccio)
dal 22 al 24 febbraio
orari: ore 22.30

Lasciatemi libera
omaggio a Patti Smith
di Alessandro Fea
con Nina Ricci (voce/reading) e Alessandro Fea (chitarra/loops)