On the other Side of the Curtain – The Twelve

Gli spettacoli di Andriy Zholdak, e Anton Okoneshnikov al festival Le Stagioni russe in Italia al Piccolo Teatro di Milano.

Il terzo appuntamento del festival Le stagioni russe in Italia è una riscrittura delle Tre sorelle di Anton Cechov firmata dall’ucraino Andriy Zholdak, che, allievo di Anatolij Vasiliev a Mosca, oggi abita a Berlino e lavora in tutta Europa. Zholdak ha un profilo spiccatamente internazionale (e un certo gusto tipicamente tedesco per la messa in scena straniata). La passione per il teatro in lui poi convive con quella per il cinema. On the other Side of the Curtain infatti si ispira palesemente a Solaris, il bellissimo film di Andrej Tarkovskij, presentato nel 1972 come la risposta sovietica a 2001 Odissea nello spazio di Stanley Kubrick, che solo nel décor è fantascienza, di fatto una riflessione introspettiva e lirica sul tema del tempo e del ricordo.
Il regista immagina che nel 4015 si risveglino tre sorelle e che nel loro cervello venga caricato il testo di Anton Cechov, non per nulla lo spettacolo infatti reca come sottotitolo esperimento di reincarnazione. Inizialmente Masha, Irina e Olga non si riconoscono, ma poi a poco a poco rivivono le stesse situazioni della pièce. La Mosca in cui desiderano trasferirsi potrebbe essere sia la capitale russa sia una stazione spaziale: poco importa, se il loro destino alla fine ritrova gli stessi svolgimenti della pièce. Inizialmente il regista si diverte a ricreare nel vasto palcoscenico del Teatro Strehler l’ambientazione fantascientifica alla Tarkovskij, servendosi di proiezioni di foreste di betulle o di panorami marini, ora proiettate nell’ampio fondale ora riprodotte in piccolo su uno schermo laterale, dove scorrono le didascalie che permettono di seguire la storia con i suoi salti temporali. Compaiono così i primi elementi scenografici fantascientifici: sarcofaghi per l’ibernazione, navicelle spaziali, totem, due grandi specchi circolari che di lato riproducono le scene.
Man mano che si delinea la storia delle tre sorelle Prozorov ecco entrare in scena una sorta di piccola dacia (le scene che si svolgono al suo interno sono riprese da una telecamera), una stanza aperta sui lati (inizialmente la scuola dove insegna Olga), un tavolo di ferro che diventa sempre più grande. Si riducono dunque gli interventi testuali del regista e le parole di Cechov prendono il sopravvento. Intere scene mantengono la loro drammaturgia originale, ma totalmente reinterpretate: i celebri silenzi dell’autore sono sostituiti da grida e tensioni. Cechov diventa Strindberg e si delinea un inferno domestico da famiglia disfunzionale: si scopre che Masha ha avuto una relazione incestuosa con il padre, che ha sposato Kulygin proprio per proteggersi da quel trauma. La stessa passione extraconiugale per il colonnello Vershinin è probabilmente accesa dal fatto che le ricordi il padre (e non a caso lo stesso bravissimo attore, Igor Volkov, interpreta i due ruoli). Più simile all’originale la storia di Irina che sceglie di sposarsi, per evadere dalla noia, con il barone Tuzenbach, che non ama, ma il nobile viene ucciso in uno stupido duello. Meno approfondita la storia di Olga, del fratello Andrej e della volgare cognata Natasha, qui una sorta di artista da varietà. In compenso con dei flash back e delle digressioni diventano personaggi il padre e la madre delle tre sorelle, la moglie nevrotica di Vershinin; assistiamo al matrimonio infelice di Masha con il frustrato Kulygin e alla violenza di uno stupro matrimoniale.
Nel finale viene calato un grandissimo specchio inclinato, che riflette la platea del Teatro Strehler. Gli attori ringraziano di spalle, guardando il nostro riflesso: il pubblico è lo spettacolo, dall’altra parte del sipario. Se l’impostazione registica convince poco (sì, sono suggestive le scene fantascientifiche, ma On the other Side of the Curtain prende quota solo quando ritrova la solida drammaturgia cechoviana, ancorché deformata grottescamente), l’interpretazione delle tre ragazze Prozorov, Elena Vozhakina (una Masha davvero indimenticabile), Olesija Sokolova ed Elena Kalinina, fanno passare in secondo piano le quattro faticose ore della durata.

The Twelve, diretto dal giovanissimo Anton Okoneshnikov, l’ultimo spettacolo de Le stagioni russe, nasce all’interno di un gemellaggio dell’Aleksandrinskij di San Pietroburgo con gli studenti dell’Accademia teatrale di Limoges nel 2016, ed è stato poi rimontato con gli allievi dell’Aleksandrinskij Theatre e del Russian State Institute of Performing Arts. È un suggestivo saggio scolastico, scelto perché suggerisce indicazioni sulle strade delle nuove generazioni e sull’uso delle nuove tecnologie. Lo spettacolo è ricavato da I dodici, il celebre poemetto simbolista di Aleksandr Blok che descrive il faticoso cammino di dodici soldati bolscevichi per le strade di san Pietroburgo nell’inverno del 1918. Di questo piccolo capolavoro novecentesco si ricorda un’indimenticabile lettura di Carmelo Bene per la Rai (Bene! Quattro modi di morire in versi), rintracciabile sul web.
Operazione multimediale: nell’arena del Teatro Studio Melato sono stati montati cinque grandi schermi che circondano il pubblico, diviso in altrettanti settori; ogni spettatore guarda un unico schermo, mentre l’azione si svolge attorno a lui: quello che accade al centro o dietro, e quindi sfugge al suo sguardo, è catturato da una telecamera che lo proietta sullo schermo. L’idea è naturalmente quella di avvolgere gli spettatori con i suoni, le voci, i rumori delle strade di San Pietroburgo: la scenografa Elena Zhukova e la videoartista Maria Varakhalina hanno poi dato alle riprese una patina vintage per cui le immagini ricordano un film d’epoca.
Il poemetto è però preceduto da un prologo banale in cui i dodici attori raccontano le loro aspirazioni e i loro sogni (concessione a quella autoreferenziale rappresentazione del sé, cui ci hanno abituato i social). Fortuna che poi comincia Blok! e che la partitura di voci costruita dal regista con il direttore musicale Ivan Blagodior sia davvero affascinante. È una sinfonia di voci, lamenti, marcette, cori a bocca chiusa e rumori, riprodotti con autentico spirito futurista dai giovani attori, che nella prima sezione ascoltiamo totalmente immersi nel buio, lasciandoci trasportare dai suoni, e poi invece con l’ausilio delle immagini, quasi sempre mediate dalla telecamera. Quando nel finale marciano circolarmente attorno a noi, proiettando le loro ombre, la fisicità dell’attore prende il sopravvento con ben altra forza espressiva dell’immagine riprodotta.

Leggi la prima parte de Le quattro stagioni del teatro russo (o I nipotini di Stanislavskij) 

Lo spettacolo è andato in scena al
Piccolo Teatro Strehler
1 dicembre 2018

On the other Side of the Curtain
Un’esperienza di reincarnazione in due parti
tratta da estratti da Le tre sorelle di Anton Čechov
testo, regia e luci Andrij Zholdak
scene Andrij Zholdak, Daniel Zholdak
costumi e video Daniel Zholdak
suono e musica Sergeij Patramansky
con Elena Vozhakina, Olesija Sokolova, Elena Kalinina, Stepan Balakshin, Vitalij Kovalenko, Igor Volkov, Ivan Efremov, Vladimir Malikov, Semijon Sijtnik, Vasilisa Alexeeva, Oxana Obukhovich, Margarita Abroskina
produzione Alexandrinskij Theatre, San Pietroburgo

Lo spettacolo è andato in scena al
Piccolo Teatro Studio Melato
2 dicembre 2018

The Twelve
basato sull’omonimo poema di Alexander Blok
regia Anton Okoneshnikov
scene Elena Zhukova
video Maria Varakhalina
suono Daniil Grigorijev, Daniil Koronkevich
cameraman Aleksey Edoshin
coreografia Aleksey Salogub
direttore musicale Ivan Blagoder
pianista accompagnatrice Inna Andreeva
violoncello Vasily Mikhaylov
con Nikolay Belin, Ivan Efremov, Viktor Shuralev,  Vasilisa Alekseyeva,Oksana Obukhovich, Dmitry Buteev, Timur Akshentsev, Nadezhda Alekseeva, Vladimir Malikov, Daria Malyushenkova, Anna Stepanova, Lyubov Shtark, Kadochnikova Evgenija
produzione Aleksandrinskij Theatre, San Pietroburgo