Nella Sala Shakespeare dell’Elfo Puccini si compie un viaggio vivace e coinvolgente tra i ricordi, in cui i cinque sensi sono i protagonisti assoluti.

Polonia, secondo dopoguerra: Wictor, su consiglio del medico, si concede un periodo in campagna e decide di tornare a Wilko, paesino in cui, da giovane, era solito trascorrere le estati. Dopo quindici anni di assenza ritrova le sei signorine – sei sorelle – che, nelle calde giornate della giovinezza trascorsa, gli tenevano compagnia. Con ognuna riesce, pian piano, a riallacciare la peculiare relazione del passato, senza compiere – nemmeno questa volta – una scelta sentimentale definitiva. Così, fino all’arrivo dell’autunno e alla nuova partenza.

Questa è la trama dell’omonimo romanzo del polacco Jaroslav Iwaszkiewicz dalla quale regista lettone Alvis Hermanis ha tratto il suo spettacolo Le signorine di Wilko. L’azione, come nella maggior parte della letteratura dell’Est, è praticamente assente: non ci sono avvenimenti particolari – a parte l’arrivo e il congedo: i due estremi di un universo fatto di ricordi che prendono vita attraverso i cinque sensi.Tutto comincia dall’udito: lo spettacolo si apre nel silenzio più assoluto che persiste per i primi, lunghissimi minuti in cui Wictor si sveglia, lentamente si alza e si mette seduto sul letto, e ancor più lentamente si veste. Il suo racconto nasce dal nulla, arriva all’improvviso proprio quando ormai ci si è abituati a osservarne i gesti e le espressioni del volto e si comincia a pensare che questi siano sufficienti per entrare nel suo mondo.

Sì, perché – per tutta la durata dello spettacolo – si ha sempre la netta sensazione che le parole non siano una componente essenziale di questa messinscena, densa di colori vivaci, canzoni d’epoca e popolata da attori duttili e tutti assolutamente in parte, avvolti nei curatissimi abiti anni Quaranta creati dal bravo costumista Gianluca Sbicca.

Poi è la volta dell’olfatto, con cui Wictor esplora gli aromi di un vecchio armadio, rievocando essenze di pino che lo riportano con la memoria ai giorni felici a Wilko, nella casa delle signorine. Il rimando è così vivo e intenso che subito i pensieri prendono forma e, a una a una, le sorelle escono da questa sorta di scatola magica con solennità, accompagnate dalla loro descrizione: ognuna con le sue caratteristiche, in una sorta di presentazione/introduzione allo spettacolo vero e proprio.

Alla vista viene riservato uno spazio particolare ed è il mezzo per il riconoscimento dell’uomo all’arrivo nella fattoria: si è cresciuti, invecchiati, si notano i tanti mutamenti. Lo sguardo si fa veicolo poetico in uno dei momenti più alti del testo, quando il bravissimo Sergio Romano rievoca la notte in cui, accidentalmente, aveva visto Fela nuda presso lo stagno al chiaro di luna. La memoria corre veloce e i particolari prendono corpo – così come nella scena in cui è coinvolto il gusto, attraverso una serie di assaggi di marmellata che Wictor – bendato – fa direttamente dalle mani di Kaza.

Ma il protagonista assoluto è il tatto: corpi che si incontrano e si toccano, che danzano e si avvolgono, rivelando non solo una profonda sensualità insita nel testo, ma anche la carica erotica di questa regia che sceglie di mostrare anche particolari del tutto quotidiani, come i cambi d’abito rigorosamente a vista in cui corsetti, pizzi e reggicalze sono messi in bella mostra.

Anche la scenografia, composta di mobili d’epoca, è manovrata – sotto gli occhi del pubblico – direttamente dagli interpreti, con gesti rimandano ad altro: veloci, e talvolta caotici, come i pensieri che mutano repentinamente, rappresentano il rapido cammino dei ricordi, a volte collegati tra loro, a volte completamente sconnessi, come se fossero istantanee a sé stanti.

Ottima l’idea di Hermanis di utilizzare delle teche – dei parallelepipedi in plexiglas – come possibili macchine del tempo: coloro che vi entrano diventano l’oggetto della memoria e del racconto che prende vita anche grazie ai loro movimenti. Questo intelligente escamotage si coniuga perfettamente alla tecnica di racconto scelta per questo adattamento, che conserva la bellezza del romanzo: chi prende la parola narra eventi e circostanze sempre in terza persona e i discorsi diretti sono brevi, intercalati nella narrazione che non ha mai un’unica voce, ma è una bella costruzione corale tra tutti i personaggi, così come lo sono i movimenti e le coreografie.

Il risultato è uno spettacolo singolare, di chiara matrice non italiana che, a tratti, ricorda Proust – si pensi all’episodio della rievocazione delle Madeleine, all’inizio della Recherche – e a tratti richiama la memoria velata di malinconia di Čechov e i suoi lunghi silenzi, quelle pause che – come in musica – assumono qui un’importanza significativa e che ci immergono ancora di più nel clima slavo a noi così lontano, ma allo stesso tempo tanto familiare.

Lo spettacolo continua:
Teatro Elfo Puccini
c. so Buenos Aires, 33 – Milano
fino a domenica 5 dicembre
orari: ore 21.00 – domenica ore 16.00

Le signorine di Wilko
dall’omonimo romanzo di Jaroslav Iwaszkiewicz
adattamento e regia Alvis Hermanis
con Sergio Romano, Laura Marinoni, Patrizia Punzo, Irene Petris, Fabrizia Sacchi, Alice Torriani, Carlotta Viscovo
scene Andris Freibergs
costumi Gianluca Sbicca
luci Paolo Pollo Rodighiero
coreografia Alla Sigalova
produzione Emilia Romagna Teatro Fondazione – Progetto Cultura dell’Unione Europea nell’ambito del Progetto Prospero – Teatro Stabile di Napoli, Nuova Scena – Arena del Sole – Teatro Stabile di Bologna