Musealità e teatralità

All’Off/Off Theatre è andato in scena Lezione di Sarah, esempio di un teatro pedissequamente accademico e aderente a un immaginario in cui la narrazione viene restituita in termini letterari e poetici, senza autentico realismo.

La scenografia è un palco ammobiliato con semplicità. Al suo interno si trovano un tavolino con un vaso di peonie della varietà Sarah Bernhardt, due sedie in stile provenzale e due manichini. La storia, tratta liberamente da L’arte del teatro di Sarah Bernhardt e adattata da Pino Tierno, racconta il percorso di formazione tra l’aspirante attrice Marie Dubois e la maestra Sarah Bernhardt, ai cui incontri scopriremo essere invitati autori con i quali l’attrice francese si era confrontata e attraverso i quali aveva costruito il proprio mito, ovviamente tutti defunti ben prima della sua nascita (Corneille, Molière, Shakespeare e, soprattutto, Racine).

Anticonformista, audace interprete anche di ruoli maschili (come Amleto nel 1899 e L’Aiglon di Rostand l’anno successivo), direttrice teatrale dell’allora Théâtre des Nations, (oggi Théâtre de la Ville Sarah Bernhardt), musa delle belle arti, della cosmesi e della moda, nonché della pubblicità del tempo, Sarah Bernhardt fu l’autentica dominatrice delle scene teatrali a cavallo tra XIX e XX secolo. Fisicamente di inedita magrezza in un periodo in cui le forme erano ancora lontane dall’essere stigmatizzate, la sua biografia su costellata di episodi clamorosi (lo schiaffo a un’anziana collega, l’autogestione della propria carriera) e da amicizie illustri (da Hugo a Wilde).

La sua carica seduttiva e trasgressiva, accostata a un carisma scenico unico, la resero leggendaria già in vita e per lei una vita lontana dalle luci della ribalta era talmente inconcepibile da farle intraprendere, ormai ultrasettantenne, l’ultima tournée in America con la protesi di legno al posto di una gamba amputata in seguito a un incidente nell’ultimo atto di Tosca.

Il suo tempo, tuttavia, era ormai arrivato e il suo posto sarà “preso” da Eleonora Duse – il cui repertorio guardava, come è noto, a testi meno patinati e più a Ibsen – che ne raccolse anche la dimensione “mediatica”: «Sarah Bernhardt che più ancora di rivoluzionare l’arte della recitazione, creò il mito dell’attrice, in anticipo su Eleonora Duse. Inventò la “divina”, appunto. Ovvero fuse la vita vera con pose, gesti, abiti e comportamenti da “personaggio” (La donna che osò amare sé stessa, Valeria Palumbo).

In Lezione da Sarah Galatea Ranzi interpreta “esponenzialmente” il ruolo dell’attrice che recita e dell’attrice che interpreta: si fa Sarah, ma si fa anche Sarah mentre Sarah si fa Fedra, Eone e gli altri personaggi che prendono forma con voce ferma e passo, purtroppo, traballante. L’intenzione, dunque probabilmente voluta, è quella di restituire plasticamente un’attorialità d’antan, non solo pre-performativa e declamatoria, ma addirittura storicamente precedente alle grandi innovazioni introdotte dalla “rivale” italiana, con cui aveva anche “condiviso” l’amore e il supporto dato al Vate D’Annunzio. Se Sarah è ancora un’attrice del passato e ne rappresenta il culmine, Eleonora fu più consapevole dell’uso del corpo in scena riuscendo a influenzare l’impostazione stanislavskijana e anche il mondo del cinema di Strasberg (che la vide al Broadway Theatre).

Lezione da Sarah è un’apologia della stagione dell’arte auratica, di un modello di direzione dell’immaginario, degli stili di vita, dei modelli di pensiero e delle dinamiche del nostro abitare il mondo che da tempo ha ceduto il passo a favore di altri vettori culturali (la popular music, la nuova serialità, le performing arts). La direzione di Ceriani imposta le dinamiche sceniche cercando un recupero dell’idolatria dell’artista prima che essa venisse messa in crisi dall’insorgere delle avanguardie: se l’aura è diretta emanazione dalle caratteristiche di unicità e autenticità di un’opera, Ceriani e Ranzi identificano in Bernhardt la massima – e forse l’ultima – espressione di quell’identificazione, di una irrimediabile “lontananza” dal senso comune e dalla quotidianità.

L’esito di un’operazione così museale è un’ora di spettacolo che ovviamente divide. Si potrà inneggiare a un allestimento “interessante” apprezzandone la coerenza con cui ha materializzato lo spirito di un teatro di oltre un secolo fa (al netto degli ormai francamente stucchevoli tentativi di coinvolgimento del pubblico, chiamato a leggere un paio di battute dai copioni “provati” con Sarah dalla giovane Marie, una volenterosa ma acerba Martina Galletta). Oppure si potrà pensare che Lezione da Sarah sia la maniera più efficiente ed efficace di manifestare per contrarietà la capacità dell’arte di parlare nel proprio tempo, di farlo ai propri contemporanei e di non limitarsi a compiacenti addetti ai lavori trincerati nella torre d’avorio della propria autoreferenzialità, che vivono l’esperienza teatrale come fatto “romanticamente separato” dalla quotidianità e che immaginano sé stessi come i privilegiati di “spirito” degni di produrre e fruire d’arte per, di conseguenza, rifugiarsi in essa e riscattare in senso aristocratico la propria esistenza.

Lo spettacolo è andato in scena
OFF/OFF THEATRE
Via Giulia, 20, Roma

lezione di Sarah
con Galatea Ranzi e Martina Galletta
regia Ferdinando Ceriani
da L’arte del teatro di Sarah Bernhardt
elaborazione drammaturgica Pino Tierno
musiche originali Martina Galletta
audio Michele Scalet
assistente alla regia Alice Guidi
luci Francesco Traverso
i costumi della sig.ra Ranzi sono di Alessandra Giannetti
Compagnia Diritto e Rovescio