In fieri

teatro-era-pontederaL’Idiota di Fëdor Dostoevskij, nella trasposizione di Anna Stigsgaard e Ștefana Pop-Curșeu, va in scena al Teatro Era, atto primo della collaborazione tra Fondazione Pontedera Teatro e Teatro Nazionale Romeno di Cluj-Napoca.

Come tutti i romanzi di Dostoevskij, anche L’Idiota non sfugge a una intrinseca difficoltà nel caso delle riletture drammaturgiche. Tuttavia, rispetto ad altre opere dello stesso autore (vedi i Karamazov), essa non si presenta ostica per la complessità dei piani interpretativi o la presenza della vicenda autobiografica dell’autore (come il principe, graziato dalla pena capitale).

La principale complessità risiede, infatti, nella definizione della personalità del protagonista, un nobile al rientro da una lunga degenza in una clinica svizzera dove era stato curato dall’epilessia (condizione neurologica allora e a lungo ritenuta una forma di possesso demoniaco) e che – fin dal titolo – veniamo avvertiti essere un “idiota”, ma non nel senso di “stupido”.

Lev, infatti, non è afflitto da alcun ritardo mentale, quanto da una forma di “superiorità” morale (nei confronti della massa). Una posizione da cui, riuscendo a vedere chiaramente il “bello” del mondo e della vita, non trae, però, alcun beneficio: egli, come il Cristo, vive lo scandalo e l’umiliazione di una esistenza votata all’amore senza compromessi. Proprio per questo contraddittorio status, lo vedremo – per esempio – chiedere in moglie una donna senza arte nè parte, che aveva vissuto a lungo – e per convenienza – con l’uomo del quale fin dai suoi dodici anni aveva subito il fascino, priva di dote e di decenza.
Lev è un idiota, puro di spirito ma di corpo malato, attratto dall’umanità ma non in grado di prodigarsi concretamente per essa; dunque, inetto nei confronti della mondanità della vita e incapace di vivere pienamente se stesso.

In questa contorta cornice esistenziale, la suggestiva scenografia mobile ideata da Adrian Damian ben costruisce dinamicamente i vari sfondi su cui si svolge l’azione (dalle feste di Nastas’ja Filippovna all’incontro in treno tra il principe Lev Miškin e Rogozin). E se parte del merito va anche alla riuscita scelta di affidare agli strumenti dal vivo la riproduzione dei rumori di scena, sono splendidi i momenti di canto corale e portentosi quelli da solista di Anca Hanu (in scena come Aglaja), che valgono – probabilmente – da soli il prezzo del biglietto.
Bene anche gli altri interpreti, i co-protagonisti Ionut Caras (l’innamorato Parfion Rogozin) e Ramona Dumitrean (una bellissima e sensuale Nastas’ja), mentre il principe Miškin di Cristian Rigman, con il suo (persuasivo) sguardo inebetito, è apparso vittima della principale debolezza della pièce, di cui diremo più avanti.

La regia della Stigsgaard è efficace nel rappresentare il canovaccio degli eventi (incastrando con buon ritmo e scelta quelli più significativi) e nell’individuare la tematica chiave del testo di Dostoevskij, ovvero l’identità dialettica di valore estetico («È vero, principe, che lei una volta ha detto che la ‘bellezza’ salverà il mondo?») e morale («Nell’amore astratto per l’umanità quasi sempre si finisce per amare solo sé stessi»). Tuttavia, la direzione è sembrata perdere vigore (e chiarezza) nel momento di esprimere con personalità drammaturgica il naufragio di quella stessa identità e di ogni possibile ricerca (individuale) di senso.

Un ambito, quello della ricerca esistenziale, nel quale lo stesso Dostoevskij agiva con piena consapevolezza, quando dichiarava l’intenzione di scoprire un criterio normativo che potesse indirizzare l’umanità verso scopi ideali (capaci di allontanare la decadenza morale) e valori eterni (in grado di combattere l’imperante nichilismo): «l’idea centrale del romanzo è di descrivere un uomo assolutamente buono […] rappresentare il bello assoluto […] un compito impossibile. Il bello è l’ideale, e l’ideale […] è ancora lontano dall’essersi cristallizzato».

Nel caso specifico, è nella Bellezza (la platonica kalokagathia) che viene individuato il principio educativo capace di dare ordine al caos, e nell’idiota l’esempio di persona in grado (almeno) di riconoscerla. Quel Miškin, sincero nel vedere con inesauribile meraviglia il mondo (Ippolit troverà letteralmente insopportabile il suo anelare a una semplice «vita sugli alberi»), ma che – messo di fronte alla vera realtà (dal gesto disperato dell’amico Rogozin) – non potrà che tornare a rifugiarsi nel delirio.

Nell’idealistica ricerca di trascendenza del singolo in fuga dalla miseria dell’angoscia e della disperazione, l’esistenza non contempla la logica ed è conflitto con la comunità e l’ordine stabilito («L’asino mi colpì fortemente e, al contempo, mi piacque molto: e, da quel momento, tutto parve rischiararsi nella mia mente», dirà Miškin ai suoi interlocutori, lasciandoli sgomenti, parlando del suo percorso di “redenzione”). Dunque, la Bellezza, nella sua perfezione, può rappresentare una salvezza tanto illusoria quanto terribile perché, per contrarietà, svelerebbe con forza ancora maggiore l’orrore del mondo. Ed è proprio la radicalità di questa prospettiva che sembra venir meno alla messa in scena – complessivamente positiva – della regista danese.

A testimonianza del posizionamento su un piano didascalico della pièce, la chiusura dello spettacolo. Per il principe logica reazione nei confronti dell’assurdità del mondo e unico sbocco dell’autentica carità cristiana, per il suo alter ego – Rogozin – esito dell’amore non corrisposto per Nastas’ja, la follia tornata a dominare la scena non riesce a far emergere quei travagli individuali e quelle dinamiche collettive che avrebbero dovuto animare i protagonisti, il cui sviluppo risulta così monocorde e non cadenzato dal punto di vista dell’indagine introspettiva, , nonostante la ricchezza di stimoli visivi e sonori (come nella – interessante, ma scomposta – scena dei piedi lavati).

Un incedere narrativo che, rispetto alle premesse, mostra il fiato corto soprattutto per non aver saputo rendere evidenti con maggiore decisione le criticità esistenziali del dramma universale consumatosi sul palco, magari impostando le interpretazioni attorali (comunque convincenti) con maggiore disomogeneità, alla ricerca – di fino – di quella variazione psicologica, marchio di fabbrica dello stile dostoevskijano.

Un’opera di cui si aspetta, fiduciosi, il pieno sviluppo.

Lo spettacolo è andato in scena
Teatro Era – Pontedera
Mercoledì 10 aprile ore 21

prima nazionale
L’IDIOTA
di F.M. Dostoievski
regia Anna Stigsgaard
scenografia Adrian Damian
produzione Teatro Nazionale Rumeno – Cluj-Napoca
con Petre Băcioiu, Ionuț Caras, Miriam Cuibus, Ramona Dumitrean, Cristian Grosu / Silvius Iorga, Anca Hanu, Romina Merei, Cristian Rigman, Matei Rotaru
drammaturgia Anna Stigsgaard e Ștefana Pop-Curșeu
spettacolo in rumeno con sopratitoli in italiano