tpeSono rare le occasioni di assistere ad uno spettacolo ben costruito, messo in scena con professionalità sicura, di impatto piacevole e immediato sul pubblico e, insieme, di notevole spessore culturale e di pensiero; in più, realizzato interamente da una compagnia giovane.

Tale è De nos jours [Notes on the circus], di Ivan Mosjoukine.

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Intanto: Ivan Mosjoukine; chi era costui?

Ivan Il’ic Mozžuchin (così, nella rigorosa ma non proprio intuitiva trascrizione scientifica, andrebbe traslitterato il suo nome) è stato un leggendario attore e regista russo dei tempi del muto, riparato in Francia dopo la rivoluzione. Pioniere di quella tecnica del montaggio cha avrebbe reso famoso Ejzenštejn, aveva portato sullo schermo, oltre a opere tratte da Puškin, Tolstoj, anche un Fu Mattia Pascal, di Pirandello. Informazioni, queste, che danno un significato alla scelta del nome assunto dal giovane gruppo (115 anni di età in quattro), e aiutano a capire quali profonde radici culturali, professionali ed artistiche sottenda un lavoro che, ad una prima, superficiale lettura, potrebbe apparire una semplice, spiritosa esibizione circense.

Infatti: una spiritosa esibizione che dura quasi due ore, senza una smagliatura, senza intervallo: “Contrariamente a quanto annunciato”, avverte una voce registrata dal forte accento francese, dopo una serie di altri annunci un po’ strampalati, “non ci sarà un intervallo di 20 minuti, ma 80 intervalli di 15 secondi, che fanno appunto 20 minuti”. Ma lo spettatore, a poco a poco, si rende conto che quel caleidoscopio di esibizioni, quei lazzi, quegli esercizi circensi sono sorretti da un’accurata drammaturgia, progettata al millimetro (e al secondo).

Lo spettacolo si articola in una sessantina di cellule performative (non saprei come definirle altrimenti) di lunghezza variabile, oltre a uno stralunato prologo e un altrettanto surreale epilogo, puramente verbali, letti da quella voce con accento straniero. Ma anche la puntuale, didascalica locandina distribuita anche in formato gigante, “per chi ha difficoltà di lettura”, riporta titoli non meno spiazzanti (Nota sul fatto di non trovare le parole in pubblico, Nota sul rovescio, 1’47” di cose vicine eppure lontane).

L’apparato scenico viene ogni volta montato e smontato a vista, all’interno di uno spazio limitato da strisce di nastro isolante nero, fuori del quale si ammucchiano oggetti di scena già adoperati o da utilizzare: una sorta di rituale in understatement, che ribadisce sia la visibilità, sia la netta separazione fra lo spazio magico della finzione teatrale e le machinae che la rendono possibile.

Torna alla mente il titolo col quale Angelo Maria Ripellino evocava la natura più vera del teatro: Il trucco e l’anima. Qui il trucco – se così posso chiamare le suddette machinae (ora una sorta di scala mobile, ora un bollitore, un motore elettrico, un tostapane, un juke-box…), portate in scena e attivate ogni volta con una velocità da stordire – avviene in modo visibile, ed è parte essenziale del gioco teatrale; mentre l’anima profonda, polimorfa dello spettacolo – che è poi quella, dolente, del circo – a poco a poco trabocca dal palcoscenico sul pubblico, accumulando una comicità a volte beffarda, amara, che alterna sollecitazioni di alto spessore esistenziale a momenti di giocoleria ed acrobazia, ma anche a maliziosi striptease integrali (ambosessi) offerti in leggerezza. E ci si accorge che dietro quelle smorfie, quelle frasi smozzicate in un italiano approssimativo, c’è un’inattesa densità di riferimenti colti: da un film di Jonas Mekas del 1968, Notes on the Circus, ai ritmi quinari alla Brubek; da una pungente citazione di Jean Cocteau a Jean-Luc Godard. Ed emerge una visione del mondo, che diviene più esplicita nell’amara ironia della parabola finale, Nota su una camminata semplice, o su “è la vita, passerà”.

La cosa più strabiliante è che il gruppo, costituito pochi anni fa da quattro allievi di una scuola di teatro di Châlons-en-Champagne (francesi, ma di origini diverse, dal Madagascar alla Corea), sia riuscito a creare, nel 2011, un oggetto teatrale di questo livello. Si tratta della loro prima, e per ora unica produzione ma, da un paio di anni, con plebiscitario e meritato successo, sta facendo il giro del mondo.

Lumpatius Vagabundus