La lama tagliente di Oscar Wilde

Alla Sala Umberto va in scena L’importanza di chiamarsi Ernesto, un capolavoro del teatro vittoriano che mantiene intatte la sua energia sarcastica e la sua incredibile verve sovversiva.

Tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, la società e la cultura europee stavano voltando pagina verso il pieno approdo alla modernità: il cinema, l’automobile, ma soprattutto una rivoluzione dei costumi che rappresentò una delle trasformazioni più concrete e significative dinanzi alla sentenza di Nietzsche “Dio è morto”. Davanti alla fine dei vecchi valori, sono la società dei consumi, la moda e la stravaganza a farla da padrone, soprattutto in quella Inghilterra vittoriana che al decadentismo continentale preferì l’estetismo sfacciato. E furono proprio il sarcasmo sagace e spietato di Oscar Wilde, il suo cinismo impertinente, il suo “dandismo” che determinò l’osmosi di arte e vita a diventare gli strumenti più efficaci per la critica alla cultura anchilosata borghese: il gusto, lo stile, la brillantezza come elementi di distinzione basati sull’intelligenza.

La commedia L’importanza di chiamarsi Ernesto, portata in scena dal Teatro dell’Elfo alla Sala Umberto fino al 24 febbraio, fu scritta da Wilde nel 1895 e concentra in sé la visione goliardica e al contempo severissima che Wilde aveva della società di passaggio secolo, dove il cattivo gusto si presentava come la visione della rampante democratizzazione dello stile e del talento. Il testo è intessuto ritmicamente dalla battute sagaci e taglienti di Wilde, un percorso attraverso alcuni suoi “aforismi” ancora oggi assai attuali e sempre fulminanti: Algy nello spettacolo, interpretato da un magnifico Riccardo Buffonini, in quanto alter ego dell’autore non molla mai la presa nel corso dello sviluppo narrativo. L’intreccio, costruito sull’equivoco e lo scambio di persona, fa dell’opera l’erede moderno delle commedie shakespeariane, ma a essere determinante è l’addensarsi fluviale dei dialoghi che non lasciano respiro. Gli attori sono tutti bravissimi nel mantenere il ritmo che la regia di Ferdinando Bruni e Francesco Frongia propongono: una sorta di riattualizzazione, che oscilla tra immaginario acid-pop visionario ed estetica vintage che raggiunge vette di tale parossismo da capovolgersi in kitsch. Lo spirito è quello del cabaret o del “teatro delle marionette”, ma la Compagnia del Teatro dell’Elfo riesce brillantemente a sottolineare anche le suggestioni più propriamente ideologiche, evidenziando come il dandismo di Oscar Wilde sia ancora oggi una lama affilata capace di dare risalto alle miserie e alle ambiguità della società moderna, costruita sul culto dell’apparenza.

Lo spettacolo continua
Teatro Sala Umberto
Via della Mercede, 50 – Roma
dal 19 al 24 febbraio

Il Teatro dell’Elfo presenta
L’importanza di chiamarsi Ernesto
di Oscar Wilde
regia, costumi e scene Ferdinando Bruni, Francesca Frongia
con Ida Marinelli, Elena Russo Arman, Giuseppe Lanino, Riccardo Buffonini, Luca Toracca, Cinzia Spanò, Camilla Violante Scheller, Nicola Stravalaci